La Repubblica (P. Torri) – L’apocalisse può attendere. Nel senso che gli scenari descritti da dopo Mourinho, la catastrofe, so­no stati spazzati via, azzerati dai primi duecentosettanta minuti con lo Special One spettatore. Tre partite con l’esordiente (in Serie A) mister De Rossi in panchi­na, tre vittorie, nove punti, otto gol realizzati, due subiti (e uno perché Rui Patricio ha voluto fare un omaggio al Verona), una risali­ta in classifica dal nono al quinto posto, il rientro a pieno titolo nel­la corsa a quella quarta posizione (sperando che possa essere buo­na pure la quinta) che vuole dire Champions con tutte le benefi­che conseguenze economiche.

C’è la sensazione di un gruppo che è tornato ad avere autostima (guardate Pellegrini, tre gol in tre partite), un coraggio che sembrava essersi smarrito tra proteste, isterismi, alibi al limite dell’accettabile (rigore moderno? Come quello dato ai giallorossi contro il Cagliari per dire), accuse ai giocatori di essere scarsi e poco uomini, senza mai prendere in considerazione il fatto che se a calcio, come peraltro in qualsiasi altro sport, non giochi bene, vin­cere è un tantinello più difficile.

Sì, va bene, ma la Roma ha battuto tre delle ultime quattro in classifi­ca, ha fatto semplicemente il suo, dimenticando peraltro che nel gi­rone d’andata contro le stesse av­versarie di punti ne erano stati ot­tenuti quattro. Le partite, anche quelle che sul­la carta sembrano semplici, van­no poi vinte sul campo e questa nuova Roma l’ha fatto, riconse­gnando il sorriso a se stessa e ai suoi straordinari tifosi. Come se si fosse ricordata di essere quello che è, ovvero una squadra forte, come ci ricorda De Rossi.