Le ambizioni della Roma nel segno di Nainggolan. Derby risolto in 4 minuti

La Repubblica (F.Bocca) – Quello che esulta di più, che gioisce e si vede avere un vulcano dentro è quell’uomo con la barba che avevamo visto sulla panchina di S. Siro con gli occhi inferociti reagire in maniera scomposta e disperata allo sprofondo dell’Italia. Adesso Daniele De Rossi corre verso la curva, salta, saluta i tifosi, si abbraccia Eusebio Di Francesco che festeggia il suo primo derby vinto da allenatore. È stata la partita del ritorno al calcio, dell’abisso che tutti devono scalare, dello sport che ricomincia il suo ciclo. Prima scaramucce, saluti romani e cori antisemiti a Ponte Milvio (“giallorosso ebreo”), a conferma che tutto sommato il calcio prosegue con la sua ineluttabile quotidianità. Per la Roma le angosce azzurre sono altrove, anche perché attraversa un periodo di quasi perfezione: i gol di Perotti e di un Nainggolan che nemmeno doveva giocarla questa partita (acciaccato dal Belgio, ma non troppo evidentemente) la spingono forte in zona scudetto, mentre la Champions la chiama – mercoledì l’Atletico Madrid in Spagna – con ottime prospettive. Insomma all’Olimpico i mali e i veleni del calcio italiano sono apparsi lontani, un’eco spenta: il calcio e i tifosi (55mila allo stadio) fanno presto a sostituire la disperazione con la gioia, la Nazionale è solo un problema di altri.

È stato un derby bellissimo e quasi perfetto per la Roma, maledetto per la Lazio che ha pagato 4 minuti di imbambolamento all’inizio del secondo tempo dopo aver retto perfettamente per metà partita. Perotti ha trasformato il rigore per un fallo, su cui il Var non è intervenuto, di Bastos su Kolarov e poi fornito il passaggio a tagliare il campo per mettere in moto tutta la potenza del trattore Nainggolan che ha scaricato in rete il gol ammazzapartita. Parzialmente riaperta da un ingenuo fallo di avambraccio di Manolas, che inizialmente l’arbitro Rocchi non aveva visto e su cui s’è dovuto discutere e fare pantomime assurde, nonostante il Var fosse inequivocabile, prima di tirarlo. Ciro Immobile ha tirato quel rigore con tutta la rabbia dei gol non fatti con la Nazionale e che avrebbero potuto salvarla dal naufragio. Ma niente di più.

I reduci di Italia-Svezia (De Rossi, El Shaarawy, Florenzi, Parolo, Immobile) hanno tutti sofferto i postumi del calvario azzurro, tranne forse De Rossi che ci ha messo l’anima e che del resto l’ultima partita azzurra della sua carriera l’aveva patita tutta dalla panchina. Almeno il fiato gli è stato lasciato. «Mi tengo stretto questo derby» ha detto Di Francesco soddisfatto di una Roma che ha coronato con la stracittadina il buon momento e soprattutto contento di aver superato da vincitore un passaggio fondamentale per chi allena a Roma. «Posso dirvi che da tecnico si soffre molto più che da giocatore. Ora speriamo di rimanere lassù il più a lungo». Simone Inzaghi, che si è fatto quasi tutto il secondo tempo in maniche di camicia come se il derby lo stesse giocando, ha reso merito all’avversario. «Se fai due errori individuali in 4 minuti un derby lo perdi quasi sempre, ed è stato giusto perderlo». Il Ninja Nainggolan nel suo esuberante stile crudo ha sintetizzato il derby così: «Non parliamo di scudetto, ma stiamo sul pezzo». Lui ai Mondiali ci andrà e si vede.

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