Il Messaggero (G. Lengua) – Una Coppa Italia con la Primavera e due scudetti con l’Under 16 e 17. Tre risultati tangibili del lavoro che il settore giovanile svolge quotidianamente a Trigoria. A capo della filiera c’è Vincenzo Vergine, dirigente classe 1968 arrivato alla Roma due anni fa e da quel giorno ha stravolto tutti i vecchi meccanismi. A Vergine è stata data carta bianca da Dan Friedkin: “Vogliamo portare calciatori in prima squadra o farli diventare una risorsa per il club”. 

“L’unica cosa che non si può simulare è la pressione che i calciatori sentono quando giocano in A. Le seconde squadre? Mi interessano, ma se sono in Serie B. Ma non devono essere autoreferenziali”, aggiunge. Il giovane può cominciare a crescere realmente solo quando entra nell’arena: “Ma non deve mai modulare la prestazione affinché dia tanto contro una grande e poco contro una neo promossa. Si deve mangiare l’erba sempre e comunque”.

Due le principali linee guida: “Creare le condizioni ottimali per tutti i giocatori e un’attenta politica contrattuale. Sin da piccoli hanno ben chiaro quale sarà il percorso e sarà uguale per tutti”. L’altro segreto è stato armonizzare tutto il settore giovanile con un unico responsabile (Vergine, appunto): “Se frazioni il processo e metti più responsabili, nella congiunzione c’è una terra di nessuno. I ragazzi non vengono chiamati in prima squadra per riempire un ruolo, ma per nome, il che significa che il tecnico li segue e li conosce”. Un settore giovanile in cui è coinvolto anche Conti: “È un’arma per la Roma – spiega Vergine -. Quando va a parlare con un calciatore e la sua famiglia rappresenta un valore aggiunto”. Differente il lavoro di Alberto De Rossi: “Dirige il progetto 100 ore. Ogni calciatore si allena circa 500 ore l’anno, noi ne abbiamo aggiunte 100 di lavoro individuale che viene svolto in un’area skills di 2000 metri quadri dove hanno strumenti per allenarsi”.