Gazzetta dello Sport – L’Italia si è persa. La Roma cambia rotta: adesso straniero è bello

C’era una volta il sogno autarchico. La Roma come l’Atletico Bilbao: in campo solo ragazzi nati — o almeno cresciuti — in riva al Tevere. Difficile dire che ci si sia andati vicino, ma nello scorso decennio — complice anche la crisi finanziaria della società — qualcosa si era mosso in quella direzione. Intorno al ruolo di capitan Totti erano cresciuti Daniele De Rossi e Alberto Aquilani, si sono visti in campo Cesare Bovo, Gianluca Curci, Stefano Okaka, Aleandro Rosi, Alessio Cerci, Gaetano D’Agostino e Daniele Corvia, mentre in giro per l’Italia cercavano fortuna Simone Pepe, Daniele Galloppa, Damiano Ferronetti e altri ancora. Certo, se neppure tutti i Sette re di Roma erano davvero romani, difficile pensare che nel calcio del Terzo Millennio un’utopia calcistica del genere fosse possibile. Una cosa però è stata sicura: la matrice italiana del club era forte. Adesso, invece, la tendenza si sta rovesciando. E non solo perché in panchina c’è un allenatore straniero.

Dimezzati Studiando i dati, infatti, si nota che a partire dalla stagione 2004-2005 — da quando cioè la Serie A è passata a 20 squadre — la percentuale dei minuti giocati nella Roma da calciatori italiani è scesa, con andamento non costante ma in maniera netta. Se nel primo campionato il dato era del 66,9% adesso, nello scorcio finora disputato, si è passati al 30,1%. Come si vede dalla tabella pubblicata in alto, la punta c’è stata il primo anno, quello in cui si sono succeduti Prandelli, Voeller, Del Neri e Conti. Sotto il quadriennio di gestione di Luciano Spalletti c’è stata una stabilizzazione di massima che vedeva una metà di italiani in campo che si specchiava con la metà straniera. Si è passati infatti dal 49,6% del primo anno al 43,5% dell’ultimo, con una punta del 55,6 del secondo. La stagione portata avanti da Claudio Ranieri a partire dalla terza giornata (2009-2010) già ha fatto segnare un calo al 38%, mentre nell’anno successivo è arrivato un incremento al 40,7%.

Cura spagnola Insomma, il vero balzo indietro c’è stato con Luis Enrique, che ha dato ai giocatori stranieri finora 8264 minuti e agli italiani «solo» 3556. D’altronde, vista la rosa che ha a disposizione, dei 24 calciatori schierati in campionato, gli stranieri sono ben 16. Nessun dramma, ovvio. Siano ancora lontani da (cattivi?) esempi come quelli dell’Inter, che negli anni passati, in diverse occasioni è scesa in campo con una squadra composta da tutti giocatori stranieri. Tra l’altro, per amor di verità, nella tabella Osvaldo è stato considerato argentino e non italiano, andando perciò ad alimentare la colonia straniera in barba al recente azzurro.

Foglio presenze L’impressione, comunque, è che in una società globalizzata come quella attuale, sarebbe stato impossibile per la Roma — che ha per giunta una proprietà straniera — puntare a una connotazione autarchica. D’altronde lo stesso Luis Enrique ha detto in più occasioni: «Per me non esistono giocatori italiani o stranieri: ci sono solo calciatori della Roma». E tutti debbono rispettare le regole, prima fra tutte quella della puntualità. Su questo argomento non si sgarra. Il sistema adottato dallo staff tecnico è semplice. L’orario dell’allenamento è fissato alle 14? Ebbene, tutti devono essere in sede un’ora prima e per dimostrarlo devono firmare una specie di foglio presenze, che viene ritirato alle 13 in punto. Chi non è arrivato paga una multa. E in caso di diverse recidive, può scattare anche la mancata convocazione (si sussurra che questo sia successo a Cicinho). Non a caso, proprio per inseguire la puntualità, Bojan pensò bene di viaggiare sulla corsia d’emergenza del raccordo rimediando il primo ritiro della patente e la successiva ramanzina. Come dire, italiani o stranieri con Luis non si sgarra.
Gazzetta dello Sport – Massimo Cecchini

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