Libero (G.Veneziani) – Siamo ancora fermi alla sindrome da «serva Italia, nave senza nocchiere in gran tempesta». Solo che in realtà il nocchiere c’è, ma nel migliore dei casi è un traghettatore, nel peggiore un Caronte che ci conduce all’Inferno. Destino di un Paese dove, come diceva Prezzolini, nulla è permanente tranne il provvisorio. Stasera l’Italia del calcio scenderà in campo guidata dal Timoniere Precario per eccellenza, Luigi Di Biagio, uno che è stato promosso nella Nazionale maggiore a mo’ di punizione: non sei riuscito a vincere con gli Azzurrini? Bene, vieni a prenderti la rogna, ad interim sia chiaro, degli Azzurri trombati dal Mondiale. Con questi presupposti non è che si possa fare granché. Poi lui ci mette del suo: contro l’Argentina ha schierato una Nazionale timida, senza grosso ricambio rispetto a quella di Giampiero (S) ventura. Contro l’Inghilterra stasera (alle 21 a Wembley) metterà in campo una squadra un pochino rinnovata nei nomi ma senza un regista, a conferma di una Nazionale che non ha un capo, in tutti i sensi.
Quello di Di Biagio è, in ogni caso, un gioco a perdere. Tipico di chi viene piazzato là a colmare una voragine, senza riuscirci. Un po’ come il commissario federale della Figc, Roberto Fabbricini, figura “straordinaria” chiamata a riempire, priva di poteri, il vuoto di potere del nostro calcio. Vicenda che fa da specchio all’andazzo generale della nave Italia, alla cui guida si alternano da tempo sotto-comandanti, capi improvvisati, dilettanti allo sbaraglio, manutentori incapaci e più incapaci (commissari) tecnici. Veniamo da anni in cui, da Monti a Gentiloni, il Paese è nelle mani poco salde di leader a tempo, presto rottamati. Anche la situazione politica presente riflette una fase di stallo in cui non solo manca un governo, come da prassi, ma non si ha neppure la minima idea di chi possa formarlo: non c’è un allenatore (Di Maio? Salvini? O un terzo nome?), non c’è una squadra (si gioca col blocco-centrodestra o col blocco-5 Stelle?), non c’è un modulo di gioco, ossia un programma chiaro (se si arriva al compromesso, né flat tax né reddito di cittadinanza).
Tutto pare revocabile. Anche ciò che dovrebbe essere stabile, come le infrastrutture. Il nostro è il Paese dove i binari si sfaldano, le strade si squarciano, i ponti collassano. Ma se si rompono, non si risolve il problema, ricostruendo: si cercano tamponi che colmino le falle, toppe e tappi sui buchi. Altre volte, per cercare di rimediare all’ordinario che non funziona, si ricorre all’eccezionale. È la logica da Ponte sullo Stretto: mancano le strade provinciali e in alcuni pezzi d’Italia ci si muove sui tratturi? Chissenefrega, costruiamo l’opera megagalattica. Idem per le Olimpiadi. Abbiamo stadi fatiscenti e strutture sportive attempate? Non importa: noi ci candidiamo per ospitarle. Poi, a Olimpiadi finite, con la stessa solerzia con cui avremo costruito (e male), saremo bravi a lasciare tutto in stato di abbandono. Una logica che si può ritrovare in mille ambiti: dalla giustizia all’istruzione, dove mille riformine non hanno prodotto una riforma decente. E che si associa a uno scarico di responsabilità: la colpa non è mai nostra, ma di chi ci ha preceduto, di chi sta più in alto di noi o non ha eseguito bene i nostri ordini.
Così, se l’Italia perde stasera, la colpa non sarà di Di Biagio, ma di chi lo ha messo là e lo rimuoverà presto, di chi gli ha lasciato questa Nazionale, della Federazione che non ha investito sul vivaio. Si cercherà un capro espiatorio per lavarsi la coscienza, pronti a incaricare un nuovo traghettatore che, nel poco tempo che gli sarà dato, dovrà risolvere l’emergenza. Gestendo l’ordinario, ovviamente.