La Repubblica (M. Juric) – Le carte sono sul tavolo. Stavolta tutte scoperte. Almeno da parte di José Mourinho. Il messaggio riecheggia forte dalle parti di Trigoria da mercoledì sera, quando l’allenatore portoghese ha pubblicamente richiesto un incontro con i Friedkin. Ancora non c’è stato. Ma ci sarà, ci dovrà essere. Nei tempi previsti dalla proprietà, in una sala d’aspetto che dura da mesi. Da oggi ogni giorno è buono per il tavolo di confronto.

Serve programmare il futuro della Roma, partendo dalla volontà chiara dello Special One: “Io rimango qua, ma…“. Promessa ribadita in conferenza stampa e ai suoi giocatori, nel discorso a bordo campo prima della premiazione. Ma. Appunto. Perché ci sono tante condizioni da dover discutere. Tecniche. Con la costruzione di una rosa più competitiva. Assecondando i paletti del Fair Play finanziario, ben conosciuti da Mou. Ma andando oltre i recinti dei parametri zero. Perché il portoghese non vuole più “mercatini da 7 milioni di euro“. E comunicative. In una precisa strategia di squadra che coinvolga – e convinca – tutte le figure in società.

Senza un’unità di intenti politica e comunicativa non c’è programmazione tecnica. Perché è questo l’architrave su cui poggerà l’incontro tra le parti. Per dirsi davvero come si vede il calcio a Houston e Setubal. A corollario di tutto ci sarebbe anche l’ultima giornata di campionato. Una partita dai toni dimessi di chi è uscito sconfitto da una finale europea. E non vorrebbe sentir parlare di calcio per giorni. Ma domani Roma-Spezia vale tanto. Sportivamente, con la partecipazione alla prossima Europa League. Ma soprattutto moralmente, nei confronti dei sessantamila che riempiranno l’Olimpico per l’ennesima volta.