La Repubblica (E. Currò) – Nella rassicurante voragine dei 9 punti che dividono ora il Milan dal confine della zona Champions è rimasta inghiottita, chissà se definitivamente, la macchina trita-Pioli. Adesso sembra un po’ più semplice il tragitto verso l’Europa League di febbraio: merito del 3-1 – gol del tenace Adli, ovvero la metafora della riserva che non si arrende mai, dell’affidabile Giroud e dell’inarrestabile Theo Hernandez restituito al ruolo di terzino d’assalto – inflitto alla Roma di Mourinho, lui sì finito nel limbo di una classifica mediocre (è nono) e dentro l’inevitabile processo mediatico.

Il quale, squalificato e fischiato dai milanisti in qualità di ex demiurgo del Triplete interista, ha assistito intabarrato in tribuna autorità alla disfatta, non priva di logica tecnica e tattica. Né col ritmo mai davvero incalzante, né con le elucubrazioni – il lancio del giovane portiere Svilar al posto dell’incerto Rui Patricio degli ultimi tempi, il pressing a uomo di Cristante su Reijnders e di Bove su Adli – è stato infatti possibile rimediare al vero difetto romanista: la solitudine del macchinoso Lukaku, per l’assenza dell’imprescindibile Dybala.