Luciano, i capelli, Empoli e il primo «falso nueve»

spalletti empoli

La Gazzetta dello Sport (A.Da Ronch) – Tutto ebbe inizio nel ’94 con una gita al Nord e un consiglio. Luciano Spalletti, i cui capelli iniziavano a diventare un ricordo, aveva appena smesso di giocare, a 35 anni, per un infortunio e si era visto affidare un Empoli in crisi, proprio in vista dello spareggio finale con l’Alessandria per evitare la retrocessione. Per pianificare il lavoro per quella sfida, in cui fu protagonista Vincenzo Montella dopo un anno di stop per problemi al cuore, Spalletti e il suo preparatore andarono a Milanello a chiedere un consiglio a Pincolini, allora al Milan.

L’IDEA – Spalletti, come detto, vinse e iniziò la sua carriera, modellando l’Empoli e se stesso. Partì dal 4-3-3, il suo modulo preferito, ma ben presto cambiò, passando al 4-4-2, poi sperimentando tante cose diverse: la difesa a 3, il fantasista e pure il falso nove: «Un giorno – racconta Giovanni Martusciello, una delle pedine simbolo dell’Empoli spallettiano e tuttora secondo di Marco Giampaolosi fecero male Cappellini ed Esposito, così mi mise centravanti. Ero un mediano, quindi mi chiese di tirar fuori i difensori con certi movimenti. Vincemmo contro il Parma di Buffon, con Thuram e Cannavaro difensori centrali. Mi piace pensare che quel giorno nacque l’idea poi esaltata grazie a Totti. Non fu un caso, infatti, Spalletti mi tenne in campo più volte per spiegarmi un certo tipo di giocata, fatta senza guardare, con le spalle alla porta, per ingannare i difensori in situazione di palla coperta. Io naturalmente non avevo i piedi di Totti, ma insomma… ».

LA CASA – Ad Empoli nasce, e cresce, lo Spalletti allenatore: un vero innovatore. «La sua dote principale – continua Martuscielloè l’umiltà che, unita alla curiosità e alla passione per il calcio, lo hanno portato lontano. Anche recentemente Luciano è passato qui ad Empoli e l’ho visto intrattenersi con gli allenatori delle nostre giovanili, confrontandosi con loro. Non credo che ci sia un altro allenatore al suo livello che faccia altrettanto. Lui è sempre stato anche un grande motivatore. Vi racconto cosa fece con me: ero appena arrivato ad Empoli, mi venne a prendere in albergo e mi disse: “Ti faccio vedere una cosa”. Salii in macchina e lui mi portò a Montespertoli, sul cocuzzolo di una collina, dove c’era una casa tutta da ristrutturare. “La vedi? – mi indicò le travi dismesse – se non mi porti in serie A, io come faccio a pagarla?” È incredibile, lo senti parlare e ti affascina».

LE CORSE – Spalletti aveva appena smesso di giocare, entrò in simbiosi con quella squadra trascinandola dalla serie C alla serie A. Lui si cambiava con i giocatori, scherzava con loro, li invitava a pranzo spesso. Quando poteva li provocava: «Per potenziarci – è sempre Martusciello che racconta – risalivamo un argine del fiume vicino allo stadio. Lui ci faceva stancare, poi ci sfidava: vediamo se riuscite a battermi e correva con noi. Spalletti è nato con noi, ma si è esaltato con le sue idee. Riuscì a coinvolgere anche le nostre famiglie, invitava mogli e figli agli allenamenti, poi, giocava con i bambini a bordo campo. Costruì così un gruppo granitico. Ho saputo recentemente che fa una cosa simile Paulo Sousa con la Fiorentina, ma adesso: Spalletti lo faceva nel ‘95».

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