Di Francesco: “Arriviamo”

Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Ci sono fratelli e fratelli. «E Montella è un fratello. Da quando giocavamo insieme a Empoli, ragazzini, con pochi soldi, tanta ironia. Lui di più: scugnizzo, battuta volante e adesso da allenatore la voglia incurabile di far male agli avversari». E’ come se ad affrontarlo provasse un dolore che in effetti non prova per niente. «Visto che lui mi augura tutte le fortune ma a partire da doman l’altro, ricambio». Milan e Roma è nella categoria delle partite dalle quali una delle due squadre esce necessariamente con le ossa rotte. Magari tutte e due, almeno una di sicuro. Eppure anche le ossa rotte si aggiustano. «Non penso proprio che una gara determini tutto. Penso esistano gare importanti e questa è una di quelle. La vinci e resti agganciato ai primi posti». Se non accade, ritiene Di Francesco, ci si rimette in sesto e si passa alla fase successiva, quella della rimonta. Ma sarebbe meglio di no. Già così la Roma è sufficientemente ignorata da chi stila le gerarchie a priori. «A me non dà fastidio. Ci si sente più leggeri e si lascia discutere il campo. Ma su questo do ragione a Manolas: se vinciamo ci rimettiamo dove vogliamo essere, mandiamo segnali e poi facciamo fare ai giornali un titolo obbligato: La Roma c’è».

VIZI – Più ancora del Milan, che ha cambiato tanto, ha inserito giocatori di spessore, ha un allenatore bravo a sfruttare le qualità dei suoi eccetera eccetera, il problema di Di Francesco è la Roma, sono i suoi vizi. «L’abilità che ci ritroviamo a fare e disfare tutto nel giro di novanta minuti. Una squadra che ha bisogno di fiducia nei propri mezzi. Un’idea di gioco nuova che però i ragazzi cominciano ad assimilare. Vedo una Roma in crescita. L’evoluzione passa per partite di questo livello». Ci sarebbero anche gli infortuni in stock. Su quelli però Di Francesco preferisce tenersi generico. «Ne abbiamo avuti tanti muscolari, non troppo lunghi. E tanti legamenti crociati saltati, quelli sì lunghissimi. Ci poniamo domande e ancora non abbiamo le risposte, non posso neanche prendermela con i campi pesanti come mi capitava di fare a Sassuolo. Probabilmente sono i ritmi di partite e allenamenti a essere cambiati. Poi vai a Baku e fai quattro ore di aereo, piegato in poltrona. L’unica cosa da fare è prepararsi duramente, vivere sano, curare l’alimentazione, padroneggiare la cultura del lavoro».

AMMIRAZIONE – Non sembra un’accusa, forse più un avvertimento, ma intanto parti per Milano senza la stragrande maggioranza degli acquisti, senza qualche vecchia colonna tipo Perotti e altre come Florenzi non ancora perfettamente restaurate. «C’è Ünder che e un’arma efficace, giochi dall’inizio o entri durante la partita, sta imparando l’italiano e se non comunica ancora bene con la voce si fa capire con il gioco. C’è Nainggolan che mi tengo stretto e lascio al ct del Belgio il compito di spiegare, se vuole, perché non lo ritenga adatto al suo gioco». Ovviamente non c’è più Totti che a San Siro aspettavano sempre con ammirazione e crampi allo stomaco. «Non ho visto il suo gol di Tbilisi. Andavano a due all’ora, chiaro. Tuttavia la classe non muore mai». Fratelli e fratelli.

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