La Repubblica (P. Torri) – Nei giorni in cui il senatore Lotito e il resto dell’Italia scoprono la candidatura di Roma a Expo 2030, più che di Servette si è parlato di Riyadh.

Dimenticandosi, infine, che per quello che si sa, i giochi per Expo 2030 sono praticamente fatti, la ricchissima capitale dell’Arabia Saudita è in netta pole position da tempo, la votazione dei 179 Paesi ci sarà il prossimo 28 novembre, non c’è quota per la vittoria araba, se Roma perderà non sarà certo per la scelta dello sponsor da parte del club giallorosso e se poi la nostra Roma riuscirà a sovvertire i pronostici, saremo i primi a stappare bottiglie di spumante.

La Roma ha avuto l’opportunità di garantirsi un main sponsor con il contratto più ricco della sua storia e per una società che spesso, anche da chi scrive, è stata discussa per un settore commerciale un po’ troppo dormiente, si è trattato di un importante successo economico. E allora diamo a Lina quello che è di Lina. L’operazione per il main sponsor è stata tutta o quasi sua. Tanto è vero che nelle fotografie che hanno santificato l’accordo (mai vista una cosa del genere per uno sponsor, al punto da pensare che in futuro potrebbero esserci sviluppi ancora più importanti e chi vuol capire capisca) non c’è traccia di Michael Wandell, il grande capo del commerciale romanista. Ma questo può risultare un dettaglio per un’operazione che dà un’ulteriore e importante mano alla voce fatturato che il club, in attesa dello stadio ha l’obbligo di aumentare. Con i dodici milioni e mezzo annui garantiti dal festival saudita, la Roma dagli sponsor è arrivata a un incasso tra i trentatré e i trentaquattro milioni annui.