Il Messaggero – Coppia d’assi

Quindici anni dopo, se contiamo dal 1997, cioè da quando Zeman si insedia a Trigoria; tredici se invece teniamo conto della data della sua partenza, il 1999. È comunque tanto, forse troppo tempo, che Francesco Totti non immaginava di ritrovarsi davanti il boemo con il fischietto in bocca, il pallone sotto il braccio a guidarlo in allenamento. È tanto, forse troppo, che non pensava di risentirsi chiamare «la stella» o semplicemente Checco.

Totti – ha sempre dichiarato Zeman – è il miglior calciatore da lui mai allenato (alla ormai storica domanda: chi sono i tre migliori calciatori italiani, Zdenek rispose: «Totti, Totti, Totti»); Zeman – ha sempre ammesso Totti – è il calcio, il tecnico con cui s’è trovato meglio in assoluto, con il quale ha instaurato un rapporto diverso, confidenziale, eccellente anche fuori dal campo, tant’è che in questi anni i due si sono spesso incrociati e sentiti, ogni Natale Totti ha mandato auguri e regali a Zdenek, cosa che non avrà fatto con Capello o con Ranieri, ad esempio. La stella da una parte, Zdengo dall’altra. Un rapporto di sorrisi, complicità e affetto, ripagato in campo dal capitano a suon di prestazioni e qualche gol (bomber vero lo è diventato dopo) e con le dichiarazioni di questo quindicennio da separati pur mantenendo un legame solido.

Il boemo è stato l’allenatore che gli ha consegnato la fascia, appena ventunenne e, con quel pezzo di stoffa bianca, anche la maglia numero 10. Lo ha reso leader. Appunto, la stella, sovvertendo lo stantio luogo comune secondo il quale «Zeman non ama i campioni». Invece, due stagioni insieme, 1997/1999, vissute intensamente: 30 presenze e tredici reti il primo campionato zemaniano, trentuno e dodici il secondo. Ottantasei panchine per il boemo. Totti con lui è cresciuto fisicamente, ha imparato a correre, a faticare. È diventato calciatore completo. «A Zeman devo molto, lui è il calcio», ha detto recentemente Checco. Due annate fatte di grandi soddisfazioni e di battaglie, con il boemo capo squadra e il capitano a fargli da scudiero. Una partita su tutte: Roma-Juve 2-0, Paulo Sergio e Candela. Era la partita del post scandalo doping, era la Juve di Lippi, il nemico di Zeman. Quella, la partita che ha consacrato una simbiosi tra la gente e quella Roma.

Tredici anni dopo Totti e Zeman si ritrovano, diversi, un po’ più grigi. Ma il sogno comune è sempre lo stesso: vincere divertendosi. Ma Zeman potrà pretendere da Totti quello che pretendeva quindici anni fa? È difficile, anche se recentemente Zdenek ha subito sgombrato il campo con un secco «se dimostrerà di essere ancora il migliore, con me giocherà sempre». Parole che Totti ha preso bene, consapevole di cosa possa trasmettergli adesso il suo fisico, non più bambino. Quel «se» suona come un esame. Totti sa che Zeman è l’uomo giusto per gestire il suo finale di carriera. E i gradoni? Saranno diventati gradini. Quindici anni fa Zeman in certe fasi della stagione consentiva a gente un po’ più avanti con gli anni o con una muscolatura più fragile di gestirsi e di lavorare in maniera diversa rispetto agli altri. Quel che conta e che non potrà essere diverso, è l’entusiasmo, la voglia di divertirsi. Perché per Zeman il calcio è un gioco, gli sport faticosi sono altri. Il ruolo di Totti? Centravanti. O esterno. Dipenderà da come risponderà il fisico. La testa e il cuore, intanto, dicono Zeman. E questo già è un buon punto di partenza.

Il Messaggero – Alessandro Angeloni

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