Pjanic e Dzeko schiantano una piccola Juve: è il peggior avvio della sua storia

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La Gazzetta dello Sport (M.Vernazza) – Mai successo che la Juve perdesse due partite di fila in principio di campionato, nella Serie A a girone unico: l’ultima volta nel 1912, con il torneo spezzettato. Il dato statistico è epocale e costringe a rivedere molti pronostici sulla corsa scudetto. Più del risultato – che è striminzito e non rende l’idea – poté la prestazione della Roma, una signora Roma, che ha annichilito i campioni d’Italia. La Juve all’Olimpico è stata maltrattata, messa all’angolo come una provinciale qualsiasi e soltanto nel finale ha ritrovato un pezzo della sua identità ed è andata vicina a un pareggio che sarebbe stato clamoroso.

Ecco, se c’è una lezione che la Roma deve trarre dalla gara di ieri è proprio questa: mai rilassarsi, mai pensare che il più sia fatto, specie se davanti hai la Juve, che seppure ferita e per molti versi scombiccherata rimane una squadra con potenziale notevole.

AGGRESSIONE – Rudi Garcia ha tirato dritto per la sua strada. Totti in panchina e 4-3-3 con Dzeko vero nove, con Iago Falque ala di raccordo a sinistra e con Salah libero di puntare l’uomo sulla destra e di venire giù a prendere palla sulla trequarti. Totti non ha neppure partecipato al riscaldamento, è rimasto sotto, e verso la fine l’allenatore non gli ha concesso neppure l’onore di entrare nel tabellino come cambio perditempo. Tutti segnali che vanno in una precisa direzione. La prima mezz’ora della Roma è stata impressionante per pressione e aggressione. Il dato sul possesso palla nei primi 45’ assomiglia a una sentenza: 67,9% a favore dei giallorossi, contro il misero 32,1 juventino.

Il baricentro globale, sui 90’, rappresenta un’altra spia rossa di cui tenere contro, Juve schiacciata a 46,3 metri. Unico problema, la Roma debordante del primo tempo non ha segnato. Pjanic ci è andato vicinissimo, ha colpito un palo, ma Buffon non è che abbia corso grossi rischi. All’intervallo strisciava un retro-pensiero: se tanta predominanza non ha portato frutti, nella ripresa la Juve piazza la classica zampata in ripartenza e si porta via i tre punti. Non è andata così.

SOTTOMISSIONE – Massimiliano Allegri ha insistito con Padoin regista e di fatto ha rinunciato al centrocampo. Il playmaker reale era Bonucci, centrale difensivo. Padoin si limitava a presidiare i metri quadrati davanti ai tre dietro, e prendersela con lui sarebbe ingeneroso e inutile. La colpa non è di Padoin, ma dell’allenatore che l’ha messo lì, a interpretare una parte da primattore che non è nelle sue corde. Impressionante l’inesistenza e inconsistenza nelle terre di mezzo, perché parliamo di una squadra che faceva del centrocampo uno dei suoi punti di forza. Evocare Pirlo e Vidal che non ci sono più o l’infortunato Marchisio sarebbe troppo facile. Qui ha più senso interrogarsi su Pogba: non basta la maglia 10 per diventare leader. All’Olimpico il francese non è stato uno dei peggiori, ma era lecito aspettarsi che si prendesse la squadra sulle spalle.

Non è successo, il che denota immaturità. Pogba di fondo resta un ragazzo, non è ancora pronto per un ruolo da leader. La sottomissione del centrocampo ha prodotto reazioni a catena. Ha tolto sicurezza alla difesa: notato un Buffon sbraitante, consapevole della deriva verso cui la squadra stava andando. Ha reso innocuo l’attacco: nella prima frazione soltanto un tiro fuori, alla Juve non succedeva dal 2004-05. E in assoluto il primo tiro nello specchio è stato il gol di Dybala a tre minuti dal 90’. Impercettibile Mandzukic, nonostante la mole lo renda visibile a grande distanza.

REAZIONE – La Roma ha raccolto nei secondi 45’ quel che aveva seminato nei primi. L’1-0 è arrivato grazie a una meravigliosa punizione di Pjanic e pochi attimi dopo, quando è stata la Juve a beneficiare di un calcio piazzato analogo, in automatico è scattato un flash: dove sei PirloPirlo sta in America, a tirare è stato Dybala e la palla è finita alta sulla traversa. Sotto di un gol la Juve si è sfilacciata e si è ritrovata in 10 per l’espulsione di Evra. Allegri ha provato a cambiarla con vari mutamenti di uomini e di sistema, ma più della tattica ha inciso la rabbia. La Juve, incassato il secondo gol su capocciata di Dzeko, ha cercato risorse in se stessa, nel suo codice genetico di squadra mai morta. Così è nato il gol di Dybala su una ripartenza alta per palla persa da Keita. Così Szczesny ha dovuto superarsi all’ultimo secondo su incornata di Bonucci. Reazione di nervi, di furia, di pancia. Ferocia, non logica.

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