Tra un allenamento a Trigoria e le prime apparizioni con la maglia della Roma, Niccolò Pisilli non dimentica le sue radici. Il centrocampista classe 2004 ha infatti voluto fare un passo indietro nel tempo, ricordando dove tutto è cominciato: non uno stadio, non un settore giovanile, ma un semplice campetto di quartiere diventato per lui un luogo speciale.

Pisilli ha raccontato insieme a Cronache di Spogliatoio i suoi primi calci al pallone a Casal Palocco, il quartiere in cui è cresciuto e dove ha iniziato a coltivare il sogno di diventare calciatore. Ecco le sue parole:

Quando giocavi su questo campetto non c’erano delle persone a filmarti?

No, mai, perché stiamo proprio, come hai detto te, letteralmente a casa mia, lì c’è casa di mia mamma. Questo è il posto dove sono cresciuto, giocando con mio fratello, con tutti i miei amici, e diciamo che questo forse è il campo a cui sono più legato in assoluto”.

Che tra l’altro tu hai dipinto poi, no?

Mi ricordo un giorno, c’eravamo messi proprio a fare l’area, il centrocampo, e avevamo pitturato per definire la porta. E poi giocavamo tutti i giorni su questo campo, che nasce come una pista da pattinaggio, ma alla fine l’abbiamo trasformata in una sorta di gabbia per giocare a calcio”.

E disturbavate un po’ i vecchietti, diciamo, in zona.

Abbiamo sempre dato un po’ fastidio, soprattutto con questa casa qui davanti, avevamo qualche problema. Per noi quella era come stare all’Olimpico o chissà dove. In quel momento eravamo felicissimi”.

Raccontavi del tuo vicino di casa con cui hai condiviso un po’ di storia giovanile.

Siamo entrati alla Roma insieme e poi abbiamo giocato per nove anni insieme. L’anno prima della Primavera è andato via ma andavamo tutti i giorni a calcio insieme. I miei genitori si organizzavano con i suoi genitori per accompagnarci, per il ritorno. E quindi era bello, perché anche durante il viaggio per andare a Trigoria stavamo fissi insieme”.

Quindi non vi hanno scoperto qua quelli della Roma.

Non è mai venuto un osservatore qui, però potevano venire perché c’erano tanti ragazzi bravi e ci divertivamo proprio”.