José Mourinho ha rilasciato una lunga intervista al portale Adidas ‘Gameplan-a.com’. Lo Special One ha affrontato diverse tematiche, ecco le sue parole:

La sua vita prima di entrare nel mondo del calcio?
“Ero uno studente abbastanza bravo. Ho ottenuto un posto all’Università di Economia e sono andato a lezione, ma dopo un paio di settimane ho deciso che non faceva per me. Prima di diventare un professionista del calcio ho imparato tante cose diverse. Ho anche insegnato ai bambini con la sindrome di Down, che è stata un’esperienza incredibile, e mi ha fatto capire così tanto”.

L’importanza di conoscere più lingue?
“Non è possibile essere un allenatore di calcio di alto livello senza parlare tante lingue. Il calcio è diventato universale. Nello spogliatoio hai ragazzi di molte nazionalità diverse, e ovviamente devi imparare la lingua madre del paese in cui ti trovi. Alla fine, per avere più empatia e comunicare meglio con le persone con cui stai lavorando devi essere davvero bravo in diverse lingue”.

Le esperienze con Robson e Van Gaal?
“Ho lavorato con Sir Bobby Robson in Portogallo e poi sono andato con lui a Barcellona nel 1996. Per un giovane come me è stata un’esperienza incredibile. Poi sono stato un assistente del signor Van Gaal, che era un allenatore completamente diverso da Sir Bobby e questo mi ha reso consapevole di due filosofie completamente opposte”.

Il suo concetto di vittoria?
“Quando vedo i colleghi che combattono per non retrocedere e riescono a mantenere la loro squadra nella divisione, per me, questo è vincere. Vincere non significa necessariamente essere il ragazzo che solleva la coppa. Vincere non significa portare a casa una medaglia o un trofeo. La cosa più importante nel nostro sport è vincere e non vendere la filosofia. Non bisogna vendere scuse, ma essere un vincitore”.

La personalità dell’allenatore?
“Devi avere una forte personalità per dire: “ok, io sono il capo, faccio le decisioni”. Questo non è negoziabile. Se le sessioni di allenamento iniziano alle 10 del mattino, non aspetto un solo minuto. Anche se sei Diego Maradona, che non ho mai avuto il piacere o l’onore di allenare. Iniziare alle 10 è iniziare alle 10. La squadra è la cosa più importante, anche se sei il miglior giocatore del mondo. La squadra è la cosa più importante. Ognuno deve seguire le regole e mostrare il rispetto per i colleghi. Come allenatore, devi essere morbido e forte. Forse soft non è la parola giusta. Devi essere aperto, molto aperto a ciò che pensano i giocatori, a ciò che i giocatori sentono, e non solo attenerti alle tue idee, perché lavori con un gruppo. Il gruppo deve avere una voce: ha bisogno di avere un’opinione, di condividere. E devi essere aperto con i giocatori per farlo funzionare come una squadra”.

Quali sono i vantaggi di una sconfitta?
“Vinci tre partite di fila, ma non è il paradiso… magari poi arriva una sconfitta. Perdi due, tre partite di fila. Non è nemmeno un inferno, perché uscirai da questo momento buio e vincerai di nuovo. È molto importante mantenere l’equilibrio e questo è qualcosa che ho imparato molto con l’esperienza. Penso che più esperienza hai, più sei equilibrato e più i giocatori ti guardano e vedono una roccia, come qualcuno di cui possono fidarsi. Empatia significa tutti insieme nello stesso progetto. Un club è fatto di molte persone. Proprietari, direttori, allenatori, giocatori. Tutti. Empatia per me significa che tutti stanno andando nella stessa direzione”.

Il segreto del successo?
“Direi, preparati il meglio che puoi. Non fare tutto in fretta, troppo presto, perché è molto difficile. Quindi, quando prendi il tuo primo lavoro da allenatore, devi essere pronto. Se non sei pronto per il lavoro, lo perderai velocemente”.