Corriere dello Sport – Lamela: «Roma, vai a prenderti lo scudetto»

La carriera di Erik Lamela è arrivata davanti a una vetrata panoramica. Uguale a quella dell’albergo che la Roma ha scelto per aspettare l’ultima amichevole della tournée, ieri notte contro El Salvador. Al di là c’è il fascino competitivo dell’Hudson River e dei grattacieli di Manhattan, che si stagliano uno dietro all’altro come se si sfidassero in una gara a chi è il più bello da fotografare. Al di qua una vita normale, da americano di provincia che suda e lavora nel New Jersey. Lamela deve solo scegliere da che parte stare. Nel primo anno è stato qualche abbaglio, accecante, e molte ombre, quasi fisiologiche nel processo di adattamento a un mondo nuovo. Ora ha capito di dover andare oltre.
L’incontro avviene nel salotto del W Hotel. Lamela prende posto su uno sgabello, mentre dagli altoparlanti diffondono un’insopportabile musica lounge. Ragazzo timido, quasi impaurito nella ricerca di parole tra spagnolo e italiano, ma con le idee chiare. Le luci sono a Manhattan, la semplicità nel New Jersey. Lamela sembra il tipo a cui non manca il coraggio di attraversare il fiume.
Lamela, che effetto le ha fatto New York?
«Affascinante. Per me era la prima volta, è stato bello fare un giro. Siamo stati in centro, abbiamo scattato molte foto, ci siamo rilassati un po’».
Perché con Zeman si lavora duro.
«Tanto. Non mi era mai capitato. Ma sono sicuro che la fatica paghi. Quest’anno la Roma migliorerà i risultati dell’anno scorso».
Ripartendo da un settimo posto, dove si può arrivare?
«Non mi pongo limiti. Dobbiamo lottare per i primi posti, perché credo che sulla carta soltanto la Juventus sia superiore».
Allora punta allo scudetto?
«E’ uno dei miei obiettivi. So che non è facile vincerlo subito. Ma niente è impossibile. E’ difficile, non impossibile».
Destro cosa aggiunge a questa squadra?
«E’ un attaccante forte, di qualità. L’ho visto giocare, ci darà una mano».
Condivide la politica societaria di puntare su giovani talenti come Lamela invece che sui campioni affermati?
«A me piace vincere. Per questo sono qui. I nomi non contano, l’importante è avere una squadra competitiva».
Cosa non ha funzionato nell’anno di Luis Enrique?
«Non siamo stati regolari. Ma la colpa non era solo dell’allenatore. Non so spiegare cosa sia successo. Noi provavamo ad applicare sempre lo stesso tipo di calcio, seguendo le indicazioni di Luis Enrique. Però poi una volta facevamo quattro gol all’Inter e la volta dopo ne prendevamo quattro dal Lecce».
Quale ricordo positivo conserva della prima stagione italiana?
«La vittoria di Napoli. Come squadra è stata la migliore, anche superiore a quella di Bologna».
I momenti negativi sono stati tanti, soprattutto lo sputo a Lichtsteiner in Juventus-Roma.
«Un brutto gesto, ho perso la testa. Sono stato male per questo. Ma tutto serve da esperienza, ho solo vent’anni. So che devo migliorare tanto».
E’ stata l’inesperienza a frenarla nell’approccio alla serie A?
«Anche. Venivo dall’Argentina, un altro mondo, e mi sono dovuto adattare. Inoltre non ho fatto la

«Solo la Juve è sopra ma nel calcio i nomi non contano: basta credere in se stessi»

preparazione con i compagni, perché ero infortunato. Quest’anno almeno posso partire alla pari degli altri. Ma sono abbastanza soddisfatto del mio primo anno italiano. Non è andata così male».
L’altro momento buio è stato la lite con Osvaldo a Udine.
«Acqua passata. Non vorrei neanche più parlarne. Dopo pochi minuti era già tutto finito».
Sabatini ha detto che si dimette se Lamela si rivela un flop.
«Eh, cosa posso rispondere… Farò il massimo per crescere. Di più non mi sento di aggiungere».
E ai tifosi cosa promette?
«La stessa cosa: darò il massimo, giorno dopo giorno. Non voglio pormi dei limiti».
Magari dovrà segnare qualche gol in più.
«Anche».
Sono così uguali i tifosi della Roma a quelli del River?
«Molto simili. C’è grande passione. Il calore della gente di Roma è la cosa più bella che ho trovato in Italia».
Hanno pesato le critiche che ha ricevuto nei primi mesi romani?
«No. Vado avanti per la mia strada, pensando a lavorare».
Non ha avvertito nemmeno la responsabilità? La Roma ha pagato 17 milioni al River.
«Mai. La valutazione non è una cosa che mi riguarda».
Non le è mai capitato di rimpiangere di aver lasciato l’Argentina?
«Macché, figurarsi. Sono appena arrivato alla Roma, perché dovrei essermi pentito? Al River Plate sono legato, ed è logico che la mia terra mi manchi, ma non ho mai pensato di tornare indietro».
Totti cosa rappresenta per un giovane nello spogliatoio?
«E’ un ragazzo semplice, umile. Quando sono arrivato

«Con il mister faccio movimenti nuovi Quest’anno spero di segnare più gol»

lo vedevo come un’icona, invece adesso è un mio compagno di squadra».
Zeman ha detto che un attaccante non può giocare spalle alla porta come è abituato a fare lei.
«Per me è un modo completamente nuovo di stare in campo. Nel River Plate ero abituato ad aspettare la palla in ogni azione, tutto il gioco passava per i miei piedi. Nella Roma è diverso».
Crede di potersi adattare?
«Mi adatterò. Però ricordatevi: esistono anche gli avversari che ti possono complicare la vita».
Ma il ruolo perfetto di Lamela qual è?
«Ho sempre fatto il trequartista. Ma nel 4-3-3 il trequartista non esiste, quindi andrò dove vuole l’allenatore. Per me va bene tutto, sono a disposizione, basta giocare».
Andando indietro nel tempo, a chi deve la nascita della sua stella?
«Devo ringraziare la mia famiglia e soprattutto mio padre, che mi ha seguito sin dall’inizio accompagnandomi agli allenamenti e assecondando i miei desideri».
E’ stato suo padre a darle quel soprannome, El Coco?
«No, mio fratello. Non significa niente in italiano, è solo un suono».
Da bambino chi era il suo idolo?
«Zidane».
Però l’hanno paragonata a Kakà.
«Voi giornalisti. Io non so cosa dire, non mi piace parlare delle mie qualità».
In Argentina viene considerato?
«Sì. Sono già stato convocato dal ct Batista. E so che anche il nuovo allenatore, Sabella, mi segue. Ora sta a me dimostrare di meritare la nazionale».
Al Mondiale del 2014 ha pensato?
«Certo. Uno dei miei traguardi è vincerlo,

«I metodi di Zeman ripagheranno. Certo, non ho mai faticato tanto in vita mia…»
prima o poi. Ma se anche non facessi parte del gruppo che andrà in Brasile, tiferei per la mia Argentina».
Più a breve scadenza a cosa mira?
«Lo scudetto con la Roma, senz’altro».
La Roma è un punto di arrivo o un trampolino per l’Europa?
«Non lo so. Io ora voglio concentrarmi sulla Roma, non ho altre squadre nella testa».
A Trigoria chi l’ha aiutata di più a inserirsi?
«Burdisso. E’ un martello (ride e mima il gesto delle “botte”, ndi), mi stimola sempre».
E nel privato con chi passa il tempo?
«La mia fidanzata Sofia, che viene spesso a trovarmi dall’Argentina (vivono all’Axa, ndi). E poi c’è il mio amico Diego Giustozzi, che gioca a calcetto. Ogni tanto vado a vedere le sue partite. Per il resto, passo molto tempo a dormire. Amo dormire».
In futuro immagina una vita mondana o una famiglia con i bambini?
«La famiglia: per me è il valore principale nella vita, insieme all’amicizia e alla pace. Voglio una moglie e dei figli».
I soldi non contano?
«Non sono così importanti. Io sono argentino, so cosa significhi la crisi di un Paese e ora vedo che i problemi economici sono arrivati anche in Italia. Ma il denaro non orienta le mie scelte professionali».
Allora più avanti potrebbe rifiutare il Barcellona o al Real Madrid per rimanere alla Roma a vita?
«Perché no? Adoro la città, mi piace la squadra. E’ una possibilità, anche se so che nel calcio moderno è difficile giocare sempre con la stessa maglia. Dipenderà da me. E pure dalla Roma».
Corriere dello Sport – Roberto Maida

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