La Roma vota per Garcia. L’Olimpico e Pallotta no

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La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Da nonna Aurora a papà Rudi. La corsa di Florenzi tra le braccia di Garcia dopo il gol del vantaggio contro il Genoa – quello che indirizza il match verso il 2-0 conclusivo, santificato dalla prima volta del baby Sadiq – non è ancora detto che salvi l’allenatore francese mentre fotografa la Roma fino a quel minuto 42: imbarazzante nel gioco, graziata da Gervasoni per il secondo giallo mancato a Nainggolan e fischiata in avvio dai tifosi. Ma ovviamente la rete per un tifoso è come la pecunia per l’imperatore Vespasiano: «non olet», non manda cattivo odore e quindi l’esultanza della gente è fatta col cuore. La pianificata corsa di Florenzi verso l’allenatore, invece, evidentemente per la gente puzza un po’, tant’è che l’Olimpico ricomincia subito a fischiare. Come dire, perché volete restare con Garcia? E allora si capisce perché  l’allenatore sostenuto dai giocatori, ma «sfiduciato» dal pubblico e «sopportato» dal presidente, sia ancora in bilico. Il tutto, senza contare che nella ripresa comincia la parte 2 dello psicodramma, quella innescata dall’espulsione di Dzeko per un imperdonabile doppio «fuck off» in faccia a Gervasoni. Quanto basta per costringere la squadra di Garcia al Forte Apache sino appunto alla rete di Sadiq, classe 1997. Morale un po’ paradossale: Gasperini per ora salva il posto, mentre Garcia deve ancora aspettare, anche se la macabra metafora di Sabatini sugli «schizzi di sangue in arrivo, e non del mister», dovrebbero rassicurare il francese, lasciando pensare che il d.s. tema che la presunta corazzata Roma alla fine si trasformi in un boomerang ai suoi danni o forse, più semplicemente, che sia lui (stanco) a decidere di scendere. Una cosa è certa: nonostante il ritorno al successo dopo 7 partite, Pallotta non è soddisfatto e quindi aspetteremmo ancora un po’ prima di dare Garcia col panettone in mano. Così Spalletti farà bene a tenere pronta la valigia: possibile che i due anni e mezzo di contratto siano in arrivo.

SENZA GAMBE – In ogni caso, il match è una triste prestazione tra due squadre ferite dalla doppia eliminazione di Coppa Italia contro Spezia e Alessandria. Se i giallorossi però schierano la formazione migliore, i rossoblù – privi di Burdisso, Tino Costa, Perotti e Pavoletti – si dimostrano incapaci di far del male davvero a una Roma psicologicamente allo sbando, neppure quando si trova in superiorità numerica. In fondo, Szczesny deve intervenire davvero solo tre volte: su Gapké al 41’ del primo tempo, su Lazovic al 4’ e ancora su Gapké al 48’ della ripresa. Troppo poco, visto che in fase di rifinitura i genoani peccano parecchio, nonostante i cambi di modulo. Nel primo tempo il 3-4-3 infatti, ben protetto sulle fasce da Izzo e Laxalt, sfrutta poco le buone intenzioni di Rincon e gli inserimenti soprattutto a sinistra, sul lato di Florenzi, mentre nella ripresa il passaggio al 4-4-2 propiziato dagli inserimenti di Lazovic, Cissokho e uno spento Pandev finisce per produrre ancora meno contro la retroguardia dei padroni di casa, più chiusi rispetto ai primi 45’ e che ora non subisce gol da 4 match. In avanti la Roma confida al solito sulle accelerazioni di Salah e Gervinho, ma la loro condizione non ottimale e la pochezza attuale di Pjanic e De Rossi, oltre alla scarsa autonomia («Abbiamo finito la benzina», dirà alla fine Florenzi), fa creare assai poco. I gol infatti arrivano così: un cross di Digne svirgolato da Munoz che si trasforma in assist per il destro di Florenzi (il primo) e un cross di Vainqueur per la testa di Sadiq lasciato libero da Munoz (sempre lui). Nel mezzo, c’è da registrare una buona occasione al 26’ della ripresa, quando Dzeko però a porta vuota non trova di meglio che tirare addosso al solito Munoz in tuffo disperato. Insomma, nel complesso poca roba, ma che basta per riprendere la marcia. E se il Genoa farà bene a cominciare a tremare davvero, il paradosso della Roma racconta che il paradiso in fondo è ancora ad una passo. Anche se in questo momento, in fondo, sembra terribilmente lontano.

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