La Roma e l’attacco «double face»

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La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Si ha un bel dire che «se mi avessero fatto scegliere un centravanti, avrei indicato Dzeko». L’attrazione (fatale?) di Luciano Spalletti, in fondo, riporta la Roma agli anni (belli) di una squadra che mostra il suo volto migliore quando non ha un attaccante centrale di ruolo. Con tutte le differenze del caso, adesso, è Diego Perotti l’Erede, colui che – con le dovute variazioni del caso – è chiamato ad essere quello che Francesco Totti fu nell’era dello Spalletti 1.0

MOVIMENTI – Intendiamoci, quell’11 dicembre 2005 (Sampdoria-Roma 1-1) la trovata geniale di piazzare il capitano come «falso nove», con alle spalle e ai fianchi tutti gli incursori del caso, fu dettata anche dalla necessità. Sopratutto in quel periodo, infatti, la rosa giallorossa non poteva confrontarsi con l’attuale, e quindi avere Dzeko come semplice rincalzo sarebbe un lusso che attualmente nessun club di Serie A – tranne forse Juventus e Napoli – potrebbe permettersi. Insomma, avere un centravanti come quello bosniaco non è possedere un Piano B, ma poter contare su una soluzione tattica con gli stessi quarti di nobiltà di quella assicurata dal «falso nove». Di sicuro, però, i movimenti della squadra cambiano parecchio. Con Perotti la palla deve correre rasoterra perché gli attaccanti deputati ad affiancarlo (in prima istanza Salah ed El Shaarawy) non hanno fisico da cestisti Nba. Così l’argentino è chiamato ad arretrare per venire a cercarsi la palla, scambiandosi di posizione con Pjanic, che così può salire partendo da dietro ed essere così più imprevedibile. Nel caso che la squadra avversaria pressasse alto, al netto dell’ottimo palleggio giallorosso, a cercare la profondità dietro la difesa rivale toccherebbe appunto a Salah ed El Shaarawy, che così allungherebbero i dirimpettai, creando quegli spazi utili agli inserimenti dei centrocampisti o appunto, dei «falsi nove». Discorso diverso se invece tocca a Dzeko essere titolare. Premesso che il bosniaco e l’argentino possono giocare insieme, magari sacrificando uno tra Salah ed El Shaarawy (più probabile), in questo caso tocca al centravanti classico assumere l’onere di sopportare il peso dell’attacco. Vero che Edin sa fare movimento, arretrare e mandare in porta i compagni (movimento classico: palla del centrocampista su di lui che la scarica dietro mentre un altro attaccante si proietta nello spazio – creatosi dal fatto che il difensore segue il centravanti – per ricevere il lancio lungo del compagno), ma uno come lui è utile anche per tre altre ragioni: sa ricevere i lanci per «spizzare» la palla di testa dando la profondità a coloro che seguono l’azione, sa colpire di testa i cross che gli arrivano dalla fascia, sa tenere palla per far respirare la difesa quando serve.

PEROTTI E I GOL – Insomma, occhio a dare per morto Dzeko nel progetto tattico di Spalletti, anche se il fascino del «falso nove» cresce. Con una importante postilla a cura dello stesso Perotti: «Devo segnare di più». Proprio vero. Perché la seconda vita di Totti centravanti è stata nel segno dei gol a raffica, così tanti da arrivare a vincere addirittura la Scarpa d’Oro nel 2007. Di questi tempi, difficile pretendere tanto, ma la media di tre reti a partita fatta registrare dalla Roma – qualunque sia il centravanti – in questo filotto di sei vittorie consecutive depone bene. D’altronde, come diceva una vecchia pubblicità, «tu (soluzioni) is megl che uan».

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