La Gazzetta dello Sport (L. Garlando) – Il calcio italiano è scivolato al giovedì che, negli antichi palinsesti televisivi, era la serata dedicata al quiz. Cerchiamo di non lasciare, ma di raddoppiare, di riportare cioè tre squadre alle finali europee. Un anno fa abbiamo presidiato tutte le competizioni: l’Inter all’epilogo di Champions League, la Roma a quello di Europa League, la Fiorentina a quello di Conference League.
Abbiamo perso ovunque, ma c’eravamo. Quest’anno siamo stati cacciati dal calcio nobile del mercoledì, ma abbiamo la possibilità di monopolizzare la finale di Europa League, a Dublino, con Atalanta e Roma e di infilarci di nuovo in quella di Conference League, ad Atene, con la Fiorentina. Domani primo atto delle semifinali. Più che struggerci per l’uscita dal G8 di Champions, vale la pena di concentrarci sulle italiane rimaste, di sostenerle e di esserne orgogliosi.
Che ad essere arrivate quasi in fondo non siano le squadre a strisce che, nella storia si sono spartite gli scudetti, è un dato ancora più significativo, perché Atalanta, Roma e Fiorentina non sono eccellenze di vertice, ma rappresentano meglio il movimento medio del campionato. Koopmeiners, Dybala, Nico Gonzalez, le stelle non mancano, ma se queste tre italiane hanno fatto tanta strada in Europa, il merito è del gioco, più che dei giocatori; un gioco evoluto, che ha sviluppato la nostra tradizione, a trazione difensiva, in direzione più internazionale e offensiva.
De Rossi, estirpata dal corpo della Roma l’ossessione difensiva di Mourinho, l’ha rieducata a un gioco più ambizioso e offensivo. È suo l’impegno più impegnativo, naturalmente: battere l’imbattuto Bayer Leverkusen, già campione di Germania. Nella stagione scorsa, i giallorossi eliminarono i tedeschi che però non avevano ancora assimilato la raffinata educazione di Xabi Alonso. Però ha ragione DDR: imbattuto non significa imbattibile. Domani l’Olimpico avrà una faccia da paura.