I milioni Champions e l’eredità del capitano nella Roma da rifare

La Repubblica (F.Bocca) – La lunga notte dei cuori spezzati, degli addii, delle lacrime, e dei lucciconi si è conclusa con un gesto simbolico. Totti a centrocampo si è avvicinato a un giovane bambino, Mattia Almaviva – 11 anni, capitano di una delle squadre nati 2006 della Roma – che poteva essere benissimo lui ai tempi della Smit Trastevere 30 anni fa, si è tolto la fascia di capitano e gliel’ha stretta intorno al braccino minuto. Lo ha baciato, accarezzato e sostanzialmente ha consegnato così la Roma al futuro, lasciando un patrimonio di talento straordinario ma anche difficile, se non impossibile da trasmettere. I giocatori della Roma più vicini a Totti, “i romani e romanisti” come lui, hanno sentito particolarmente il distacco. De Rossi, che un tempo fu Capitan Futuro, ha abbracciato l’amico di sempre e tutta la sua famiglia, piangendo sulla sua spalla. Florenzi, che pochi anni fa era solamente un cucciolo e adesso soffre gli infortuni e gli imprevisti del mestiere, se lo è abbracciato come un fratello maggiore che ti consegna la famiglia nelle mani. «Ci sei sempre stato e ci sarai sempre» gli ha detto. Lacrime, lacrime per tutti. L’addio di Totti, l’ultimo tocco di pallone registrato alle 19.59 di domenica 28 maggio 2017, è avvenuto all’interno di una partita, vera, di grande batticuore. Anzi addirittura da infarto per i 60 mila romanisti tornati per una volta a riempire lo stadio Olimpico. Il Genoa ha rischiato di fare un piccolo bis del famoso Roma-Lecce 1986. La Roma ha corso seriamente il pericolo di lasciare il secondo posto a un Napoli ben più affamato e determinato, deciso a cogliere l’occasione di un Genoa dispettoso e affatto disposto a fare l’agnello sacrificale. Ci sono volute le classiche sette camicie per rimontare e superare i gol shock di Pellegri e Lazovic.

Dzeko ha fatto il gol numero 29 che gli consente di tenere a distanza lo scatenatissimo Mertens e vincere la classifica cannonieri, ma ne ha anche sbagliati parecchi rischiando di portare la Roma al patatrac. Con Spalletti Dzeko è cresciuto molto, ma la fiducia nei suoi confronti non è mai stata assoluta, come se gli mancasse sempre qualcosa per diventare perfetto e affidabile. Avrebbe dovuto incrociarsi con un Totti più giovane e di gol ne avrebbe fatti parecchi di più. L’addio di Totti sarà la chiave di volta su cui costruire una nuova storia, una nuova squadra. Si ricomincerà non solo senza Totti, ma anche senza Luciano Spalletti che nelle Coppe non avrà combinato granché ma insomma ha portato la Roma a 4 punti dalla Juve. «Sono orgoglioso di aver portato la Roma in Champions League. È stata una vittoria importante per il futuro della squadra e anche di Totti. Nel corso dell’anno ho cercato di stimolare la squadra, e ho usato anche Totti, ma solo perché lui è l’asse e la storia del club, e da lui devi passare. Forse qualche volta mi è scappato un po’ il dosaggio, ma l’ho fatto nel bene della squadra». Smaltita la lunga notte di emozioni appena vedrà il presidente Pallotta con un po’ più di calma Spalletti gli dirà che è finita, che il suo compito è esaurito. Al presidente lascia la dote di 50 milioni guadagnati per la qualificazione in Champions, un bel bottino da spendere per rinforzare la squadra in vista di una stagione durissima. Il nuovo allenatore sarà a meno di sorprese Eusebio Di Francesco, che è uno di famiglia e ha gusti zemaniani. Presa in considerazione la probabile cessione di Nainggolan e consolidata la coppia De Rossi-Strootman con nuovi contratti i recenti tracolli difensivi suggerirebbero però di cominciare soprattutto da marcatori e terzini. Ci sarà da spendere. E da soffrire. Il presidente Pallotta è stato chiarissimo: «Se non mi faranno fare lo stadio entro il 2020 il problema sarà di qualcun altro». Che la saggezza di Totti porti loro consiglio.

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