Falcao: “Totti vieni a giocare da me in Brasile. Nel 1991 dovevo allenare la Roma, ma morì Viola”

viola-falcao liedholm

Paulo Roberto Falcao, ex giocatore della Roma, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Giancarlo Dotto per Dagospia. Queste le parole del brasiliano:

Che ci fa il divino Falcao a Recife, nel profondo nord, mentre i divini Rolling Stones sono in concerto a Porto Alegre, la tua città, nel profondo sud?
“Da fine settembre alleno lo Sport di Recife ma, confesso, non so se sarei andato al concerto. Sono un beatlesiano convinto. I Rolling fanno troppo rumore”.

Alleni con grandi risultati. Mi sono informato. Quando sei arrivato tu, lo Sport veniva da un filotto meschino, tredici partite, sette perse, cinque vinte, una pareggiata.
“Tanto per darti un’idea, siamo arrivati sesti alla fine, a un punto dall’Internacional e tre punti dal San Paolo, squadre che hanno un budget quattro volte il nostro”.

Hai sfiorato la qualificazione alla Coppa Libertadores.
“Mancata per colpa di arbitraggi scandalosi”.

Tutto ciò mi ricorda qualcosa. La tua Roma e la Juventus di Boniperti. Tutto torna.
“Anche qui da noi il potere conta e condiziona il calcio”.

Nella testa di molti, a cominciare da Nils Liedholm, Paulo Roberto Falcao era nato per diventare un guru della panchina.
“Nella mia testa c’è sempre stata l’idea precisa di fare l’allenatore, cominciando dalla Selecao”.

Così è stato.
“Avevo appena 37 anni. Un’anomalia. Non l’unica. L’altra era che non volevo fare le cose troppo facili, pescare tra i grandi nomi conclamati. Volevo esplorare talenti nuovi”.

Così è stato. Falcao tende a realizzare i suoi desideri.
“Qualche nome? Cafu, Leonardo, Mauro Silva, Marcio Santos, tra quelli che conoscete di più in Italia”.

Esperienze anche altrove con i club.
“In Messico con l’America arrivo alla finale della prestigiosa Concacaf, la coppa centro americana. Vinco con l’Internacional e poi mi faccio un anno in Giappone con la loro nazionale”.

Sembrava una storia già scritta, con l’inevitabile sbarco da allenatore in qualche prestigioso club europeo, e invece…
“Mi fermo. Volevo starmene un po’ a Porto Alegre, a casa mia, per questioni personali. Mi dedico alla moda e alla televisione. Faccio l’opinionista per la Globo. Con buoni risultati, dicono”.

Falcao è un perfezionista patologico. Tende a fare bene quello che fa. Ma…
“Mi mancava qualcosa. L’adrenalina da campo. La passione della sfida. Il calcio non è due più due uguale quattro. Il calcio è una somma di variabili, alcune delle quali sfuggono al tuo controllo”.

Falcao detesta le cose che sfuggono al suo controllo. Cosa vuoi dimostrare oggi da allenatore?
“Voglio dimostrare al mondo ma soprattutto confermare a me stesso che posso vincere da allenatore anche dominando le variabili”.

Guadagnavi bene da opinionista.
“Era una vita senz’altro più comoda, gratificante, senza troppe responsabilità, ma volevo altro”.

E?
“L’Internacional mi richiama nel 2011. Vinco dopo tanti anni il campionato statale e vado via per assurde ragioni politiche. Poi vinco anche a Bahia. Lì i problemi erano economici”.

Oggi a Recife, con lo Sport.
“L’ambiente ideale per me. Qui ti danno tempo, ti lasciano lavorare tranquillo. Vince la filosofia dell’attesa e del progetto. I risultati ci stanno dando ragione”.

Che allenatore è oggi Falcao?
“Sono stato sedici anni in analisi. Questo ha fatto di me un uomo migliore e quindi un allenatore migliore. Oggi sono più sintonico, so capire meglio i problemi degli altri e prevenirli”.

Essere stato Falcao aiuta da allenatore o può diventare un modello schiacciante per i giocatori?
“Il segreto è dimenticare di essere stato Falcao. Non sarei d’aiuto se partissi da me. Devo insegnare le cose che possono essere apprese. Allora sì, può tornare utile il Falcao calciatore”.

Un esempio?
“Un mio giocatore colombiano, Lenis, non ingranava. Problemi di lingua. Gli ho raccontato di me a Roma. Io in campo non stavo mai zitto. Dovevo sapere l’italiano. Mi sono riversato a leggere i giornali e a guardare la televisione”.

E lui?
“Ha seguito il mio consiglio e me ne ha dato atto pubblicamente”.

Allenare in Europa, un traguardo?
“Non ci penso al momento. Vincere un campionato con lo Sport di Recife sarebbe come vincerne cinque con una grande club paulista o gaucho. Esattamente come fu con la Roma all’epoca”.

La tua Roma ha preso due talenti brasiliani. Gerson e Allison.
“Gerson lo conosco poco. Me ne parlano molto bene. Alisson è un grande portiere, molto bravo e forte fisicamente. Due ottimi acquisti”.

Falcao allenatore alla Roma poteva sembrare a un certo punto, negli anni ’90, una storia perfetta, la chiusura del cerchio.
“Dino Viola mi chiamò nel 1991. Mi propose un biennale come allenatore della Roma. Dovevo andare a Cortina per firmare. Non c’incontrammo mai. Morì pochi giorni prima”.

Cosa resta di Roma e della Roma in Falcao?
“La Roma di oggi è completamente nuova. Per me la Roma sono i tifosi, la gente, la musica di Venditti, entrare in campo e sentire quell’atmosfera, girare per la città e sentirsi amato”.

Le cose cambiano. I tifosi della Sud non vanno allo stadio per protesta.
“So poco di questa storia. Mi dispiace. Posso solo auspicare che trovino accordo e armonia in nome della Roma”.

L’altro imperatore della Lupa, Francesco Totti. E’ in crisi con la sua Roma e dunque con la sua storia.
“Ho incontrato una volta sola Totti, nello spogliatoio dell’Olimpico, in una partita rievocativa. Ci siamo guardati e d’istinto ci siamo abbracciati. Lui mi ha detto, molto genuino: ‘Paolo, è la prima volta’”.

Il tuo Francesco Totti.
“Uno dei più grandi del calcio italiano. Unico nel suo genere. Può giocare ovunque. Avrebbe vinto sicuro un Pallone d’oro almeno se la Roma si fosse aggiudicata una Champions”.

Hai saputo dell’incidente con Spalletti? Vissuto come un sacrilegio in una città quasi più tottista che romanista. Tutto il mondo ne ha parlato.
“Dico solo che il problema deve essere risolto con il dialogo per il bene di tutti. Questa storia danneggia la Roma. E questo non va bene”.

Lui vuole giocare un altro anno. Ne discute con Pallotta in questi giorni.
“Luciano Spalletti è un grande allenatore, mi piace molto, Totti è la storia della Roma, i due devono dialogare”.

Le versione di Falcao. Il mito appartiene a e stesso o alla gente? E’ giusto ostinarsi e trascinarsi quando le risorse ti abbandonano, offuscando una storia esemplare?
“Francesco deve essere felice della sua scelta. Ha acquisito questo diritto. Solo lui può decidere, nessuno può intromettersi”.

Tu al suo posto?
“Io ho smesso a quasi 33 anni. Avrei continuato se mi fossi reso conto di essere utile anche in minima parte al campo o allo spogliatoio. Ma oggi il calcio è cambiato, si dura di più”.

Hai smesso per il ginocchio?
“Assolutamente no. Stavo bene. Non avevo più voglia. Feci solo un pensierino quando mi chiamò nell’86 Maradona che mi voleva al Napoli. A Roma non potevo più tornare”.

Cosa non andò?
“Non c’erano i tempi tecnici per chiudere l’affare e io dentro ero ancora troppo romanista”

Si parla per Totti di un’esperienza negli Stati Uniti. Come sarebbe invece un finale di carriera brasiliano per Francesco?
“Sarebbe un grande finale di carriera. Il calcio brasiliano adora i giocatori tecnici come lui”.

E nella tua squadra?
“Una meraviglia. Premessa: spero per lui, per la gente e per la Roma che trovino l’accordo giusto. Non dovesse accadere, dico a Francesco: vieni con me da maggio a dicembre per il prossimo campionato”.

Come lo faresti giocare?
“Gli darei un pezzo di campo, probabilmente l’area di rigore, e gli direi: qui tu sei il dominatore”.

Sensazionale, quasi da auspicare: i due imperatori, Falcao e Totti, le due leggende del calcio romanista che si ritrovano in un altrove inimmaginabile.
“Per Francesco sarebbe come ritrovare, con me, un pezzo di Roma. Ci siamo anche con uno dei due colori sociali. Il rosso c’è. E il numero dieci, naturalmente, sarebbe suo”

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti