La Gazzetta dello Sport – «Ascoltate l’appello di pace della madre di Ciro»

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Don Aniello Manganiello, il prete anti camorra per definizione, all’oratorio Don Guanella è soprannominato Zamparini. Potere del calcio, che alla fine diventa ovunque motivo di sfottò. Don Aniello, che della squadra del Don Guanella (nona in classifica nel girone B di Promozione in Campania) è il primo tifoso, finisce spesso con il discutere le scelte del suo allenatore. Però, non è tipo da esoneri. Preferisce il perdono. Manganiello ha trascorso quasi venticinque anni nella Capitale, ma è diventato un simbolo di Scampia e della lotta alle mafie (ha scritto il libro «Gesù è più forte della camorra» e ha fondato «Ultimi, associazione per la legalità»). Conosce bene Roma, Napoli e le rispettive tifoserie, i cui rapporti sono a dir poco difficili dopo l’uccisione di Ciro Esposito per mano di Daniele De Santis in occasione della finale di Coppa Italia dello scorso anno.

Don Aniello, che idea si è fatto di questa triste vicenda?

«Quando il Napoli vinse il primo scudetto, io ero allo stadio nel settore Distinti. La sera tornai a Roma e festeggiammo al Trionfale con i tifosi giallorossi perché c’era il gemellaggio. Da quando nel 2010 sono tornato nella Capitale ho notato un certo astio dei romani nei confronti dei napoletani, anche a causa del comportamento di alcuni di essi.

Queste tensioni divampano poi negli stadi, dove si dà libero sfogo alle proprie peggiori pulsioni». Cosa potrebbe svelenire un po’ il clima?

«Bisogna ripartire dall’appello alla pace della madre di Ciro Esposito. La signora Leardi sta portando in giro per l’Italia una importante testimonianza di non violenza. Sarebbe bello che Totti e Insigne si facessero portavoce di un messaggio che faccia comprendere che questa spirale di odio va interrotta. Ora bisogna recuperare il rispetto reciproco». Come finisce la sfida dell’Olimpico? «Immagino una partita equilibrata. Dico 1-1, così non scontento nessuno dei miei amici vecchi e nuovi».

Il calcio italiano, travolto da scandali di ogni tipo, da dove deve ripartire?

«Dagli oratori e non solo per ragioni etiche, in passato tanti campioni arrivavano da questo tipo di realtà. Io sono stato nel quartiere Prati e a Scampia, sono due esperienze diverse ma il pallone ha funzionato in entrambi i casi».

Quale funzione sociale può svolgere oggi il calcio?

«Può far avvicinare alla Chiesa ragazzi che altrimenti ne resterebbero lontani. Al Trionfale avevamo un campo in cemento che pullulava di giovani. Lì ho capito quanto fosse importante l’attività sportiva in un oratorio. Al Don Guanella si giocava sulla terra battuta. Ora c’è un campo di calciotto che ho costruito raccogliendo fondi per 200 mila euro oltre a un campo di calcetto che mi è stato regalato dalla Tim e dalla Lega di Serie A con i soldi provenienti dalle multe comminate alle società. Abbiamo una squadra in Promozione e una scuola calcio con circa 200 ragazzi tesserati: un traguardo del quale vado orgoglioso». Nel 2010 lei è stato trasferito, stavolta da Napoli a Roma, tra mille polemiche.

Cosa ha provato?

«Lasciare Scampia mi è costato tanto, non mi sarei aspettato che venisse usata la scusa dell’avvicendamento perché mancava il coraggio di dire come stavano realmente le cose. Però, oggi ho la possibilità con Ultimi di poter operare contro le mafie e mi sono rasserenato».

La Gazzetta dello Sport – G. Monti

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