Corriere dello Sport (G. Marota) – Chi paga la banda, sceglie la musica. Chi gestisce la cassa, guida le operazioni. Ecco perché Bernd Reichart, il Ceo di A22, la società che ha come mission lo sviluppo commerciale dello sport e che coordina il progetto Superlega, ha parlato ieri di necessità dei club di acquisire la sovranità sulla propria competizione. È una delle strade che la Corte di Giustizia dell’Unione Europa potrebbe tracciare stamattina, intorno alle 9.30 in Lussemburgo. Con la sentenza più attesa nella storia dei calcio dai tempi di Bosman. Era il 1995 e quella stessa Corte, accogliendo le istanze del calciatore Jean-Marc Bosman, stabili la sacralità della libera circolazione dei lavoratori, impedendo alle leghe di porre un tetto al numero di stranieri comunitari. Allo stesso modo, qualsiasi pronuncia diversa all’adesione totale al modello Uefa, cioè tutto resta così com’è, aprirebbe un pertugio capace di trasformarsi in una voragine.

Ci sono club che credono che la Superlega sia l’unica opportunità per realizzare riforme.  A22 può contare sul sostegno di Real, Barça (la Juve in estate ha fatto un passo indietro) e altri club fin qui rimasti coperti per il timore di reazioni da Nyon, che li considera ribelli assetati di potere e denaro.

La Corte UE, dopo il parere dell’avvocatura favorevole all’Uefa, dovrà rispondere a una domanda: il modello della confederazione è un monopolio che viola i trattati dell’Unione in tema di libero mercato e libera concorrenza?
La risposta ci dirà se i club possono diventare indipendenti senza incorrere in sanzioni. Esistono varie opzioni sul tavolo. Almeno quattro: l’adesione totale al parere dell’avvocato Rantos pro Nyon (1), la cancellazione del modello in vigore (2). Oppure le vie di mezzo come il “no” al potere sanzionatorio di Uefa nei confronti dei ribelli (3). La cancellazione del privilegio relativo alla gestione del business economico dei tornei (4). Dove l’Uefa (ha sede in Svizzera, quindi fuori UE) è al tempo stesso regolatore, organizzatore e legislatore. In questo senso si ragiona già sul modello F1: la federazione internazionale fissa le regole ma non gestisce i profitti né il marchio del torneo.