Parafrasando Maldini: nel calcio italiano nulla cambia, nel calcio italiano tutto è politica. Nei paesi anglofoni si dice l’incumbent (quello che detiene il titolo, o un ruolo economico di primazia) è sempre avvantaggiato rispetto al challenger (lo sfidante). Quest’anno la Roma è uno sfidante affamato e, per serietà e progettualità, incute più paura di quindici o trent’anni fa.
Fermo restando quindi il massimo rispetto per tutti gli arbitri – che da essere umani possono sbagliare in buona fede – forse sarebbe il caso di fornire loro qualche aiuto elettronico oltre che la ridicola bomboletta. Chi ama il calcio deve spingere in questa direzione e chi ha una responsabilità politica deve attivarsi in ogni maniera evitando magari di prodursi in grottesche interrogazioni parlamentari.
Questa settimana però c’è stato anche altro. Non voglio fingere una maturità che non mi appartiene o fare il nostalgico, ma credo che per la mia generazione la frase «…a te la parola Ameri …» abbia una capacità evocativa rara. Per me ha il sapore del pranzo della domenica, il fruscio di un coltello che sbuccia una mela e l’aroma del caffè che si diffonde nel soggiorno della casa dei miei nonni. Mio nonno Antonio era un grande appassionato di sport e la domenica la passavamo insieme con un vecchio apparecchio nero a transistor: la radio in Italia è nata il sei ottobre di novanta anni fa, più o meno come mio nonno, che da qualche mese è scomparso. Il calcio e lo sport in generale devono moltissimo alla radio ed a trasmissioni meravigliose come 90° minuto. Programmi fatti da giornalisti appassionati ed esperti capaci di raccontare un pallone anche allora tutt’altro che immune da scandali (dalle scommesse al doping) e nel quale gli episodi di violenza o i grossolani errori arbitrali erano altrettanto frequenti.