Zeman: “Roma sbagli. Così non vinci. Se non tieni i migliori è difficile competere contro la Juventus”

Corriere dello Sport (G.D’Ubaldo) – Sull’autostrada a poche decine di chilometri da Pescara c’è una spruzzata di neve caduta nella notte, in questa Primavera diventata improvvisamente fredda. Al Parco degli Ulivi i calciatori si allenano con i guanti, Zeman è seduto vicino ai suoi collaboratori con lo zuccotto in testa. Urla qualcosa che i giocatori forse non sentono e quando vede che il ritmo si abbassa entra in campo con il suo passo lento ed è come una scossa che vivacizza l’allenamento. Lunedì Zeman ritrova la Roma, il suo passato più romantico e forse anche il più nostalgico. In questa intervista esclusiva ci racconta il suo calcio, alla soglia dei settanta anni, che vive con lo stessa immutabile voglia di non lasciarsi inquadrare negli schemi.

 Zeman, una sua frase celebre è questa: «Il derby è una partita come le altre». Quella contro la Roma per lei è una partita come le altre?
«Un’altra partita che fa parte del campionato, ci sono sempre tre punti in palio».

La Roma viene da un periodo di alti e bassi, è stata eliminata dalla Coppa Italia e dall’Europa League…
«La Roma rimane sempre un’ottima squadra. Certo, le eliminazioni in Coppa Italia e in Europa League non se le aspettava nessuno».

E’ ancora in corsa per il secondo posto. Poteva fare di più?
«Penso di sì, anche se la Juve ha dimostrato anche questa settimana che è una grande squadra, ha giocatori importanti. Se la Roma si esprime al massimo può competere anche con la Juventus, ma durante il campionato ha avuto qualche pausa».

Cosa l’ha spinta a tornare a Pescara?
«Sono tornato qui perché penso che si possa fare ancora qualcosa di importante, anche se erano tutti convinti che la retrocessione fosse decisa, c’è stata la possibilità di invertire la rotta, ma non l’abbiamo sfruttata. Ora pensiamo a costruire una squadra più strutturata».

Tra pochi giorni compie settanta anni. Ha ancora entusiasmo a lavorare sul campo?
«La carta d’identità dice questo, ma non me li sento. A me piace stare in campo, mi piace non lavorare, ma far lavorare per vedere miglioramenti, se ci si riesce».

 Lei non ha mai cambiato i suoi metodi di lavoro, non ha mai cambiato la sua filosofia calcistica…
«Non ho mai cambiato l’idea di calcio, avrò cambiato le esercitazioni, ma l’idea di calcio che cerco di mettere in pratica è sempre la stessa».

La Juventus è l’unica squadra italiana che brilla in Europa. Il calcio italiano come può tornare competitivo?
«C’è un sistema vincente che parte dalla società, dall’organizzazione. La Juve ha una società meglio organizzata e strutturata, economicamente sta bene, si può permettere di mantenere i giocatori più forti, se va via uno importante cerca di prenderne un altro, mentre le altre società devono vendere per necessità e quindi non si riesce a portare avanti un progetto».

La Roma della proprietà americana vende e acquista giocatori ogni anno…
«Penso che così sia difficile competere e vincere, se non si ha la possibilità di mantenere i migliori e lavorare con loro. La Juve da cinque anni ha uno zoccolo duro di dieci giocatori, alla Roma dopo cinque anni ci sono Totti, che non è più Totti, Florenzi e De Rossi».

Parliamo di loro. Florenzi può diventare uno dei più importanti calciatori italiani?
«Spero che l’infortunio non lo condizioni, nel futuro se si rimette a posto e sta bene può crescere, è ancora abbastanza giovane. Con me giocava centrocampista, perché quando sono tornato ho rifatto la Roma come era prima e al posto di Di Francesco avevo Florenzi, hanno le stesse caratteristiche».

Totti sta pensando di smettere a fine stagione…
«Non lo so, io continuo a dire che Totti ha fatto tanto e sono convinto che se si sente di giocare ed è più bravo dei compagni che ha attorno è giusto che continui. Quando si accorgerà che gli altri sono superiori dovrà smettere».

A Roma si discute sulla gestione di Totti. E’ giusto utilizzarlo per pochi minuti?
«Penso che non è un giocatore da ultimi cinque minuti, anche se nel finale dello scorso campionato è stato lui a portare la Roma in Champions».

Il suo rapporto con De Rossi non è stato facile…
«Si è insistito molto su questo punto. Il suo rendimento con me non è stato positivo. Aveva la media del 4,5 e non ero io che davo i giudizi. Il tipo di gioco che adottavo non si adattava alle sue qualità».

Eppure un grande calciatore dovrebbe adattarsi a qualsiasi sistema di gioco…
«Il calcio che voglio io è diverso, da giovane lo ha fatto, quando è diventato più esperto non è riuscito ad adattarsi».

Se tornasse indietro cosa non rifarebbe nella stagione nella quale è stato esonerato dalla Roma?
«Anche in questo caso ci sono opinioni divergenti. Tutti considerano quella stagione deludente, ma io la considero ottima. La critica diceva che facevamo il calcio più bello d’Italia, espresso in particolare nelle partite vinte contro il Milan e la Fiorentina. Avevo conquistato la finale di Coppa Italia, che purtroppo non ho potuto giocare io. E le plusvalenze fatte dalla società sui giocatori lo considero un altro aspetto positivo. Mi sento a posto e quella la considero una stagione positiva».

Cosa ricorda di Pallotta?
«Poco o niente. L’ho incontrato poche volte, mai da solo. Io non parlo inglese, lui non sa l’italiano. L’ho visto sempre con gli altri».

Tra gli altri c’era Baldini, che è tornato a fare il consulente di Pallotta da Londra…
«Non so valutare, il presidente è in America, Baldini a Londra. Una squadra ha bisogno di avere i dirigenti vicini».

Alla Roma sta arrivando Monchi, un direttore sportivo spagnolo…
«Non sono d’accordo su queste scelte. Il calcio in Italia dovrebbe farlo gente che ha vissuto il calcio italiano e che ha esperienza specifica».

Il nuovo allenatore dovrebbe essere Emery…
«Emery ha fatto risultati importanti con il Siviglia, ma ci sono allenatori che rendono di più in certi contesti. Il calcio spagnolo è diverso da quello italiano, bisogna vedere se si adatta o se riesce a far adattare la squadra alle sue idee».

Inter e Milan sperano di rilanciarsi con i cinesi dopo anni difficili…
«Penso che oggi il calcio dipenda molto dall’economia. Secondo me i soldi non sono tutto, sono importanti ma bisogna saperli usare. Conta avere una società che ha al suo interno dirigenti capaci, con una organizzazione. Se non c’è questo i soldi non contano niente. Se fosse dipeso tutto dai soldi gli inglesi avrebbero dovuto vincere tutto, visto che ne hanno più di tutti e invece stranamente sono anni che non vincono e sovvenzionano il calcio europeo comprando a caro prezzo e poi regalando i giocatori agli altri Paesi» .

La Lazio si è presa la soddisfazione di eliminare la Roma dalla Coppa Italia, eppure Lotito spende meno degli americani…
«La Lazio sta facendo un buon campionato senza grossi sforzi. Anche Lotito ha qualche problema di struttura societaria, sul piano organizzativo potrebbe fare meglio. E’ una questione di fiducia. Lotito fa la maggior parte delle cose da solo, non ha uno staff di persone a cui delegare».

Ventura ha il difficile compito di portare l’Italia al Mondiale…
«Ha un avversario difficile come la Spagna, ma se riesce a fare bene a settembre può farcela. Dipende molto dal lavoro dei club, dalla preparazione, i ritiri. Poi ci vuole il giusto mix tra i vecchi di grande esperienza e i giovani di talento».

In azzurro si sta imponendo Immobile che ha lanciato lei…
«Sta facendo bene dopo due anni di sofferenza in Germania e in Spagna. E’ tornato quello che era prima ed è uno che fa gol».

A Pescara centrò l’impresa della promozione con giovani talenti del calibro di Verratti, Immobile e Insigne. Spera di riproporre quel modello?
«Sì, vorrei fare questo, spero che riusciamo a trovare ragazzi di talento. Se sono più di tre è meglio».

Lei ha fatto esordire Coulibaly, un giovane senegalese arrivato in Italia con il barcone. Il calcio è anche integrazione?
«Io faccio calcio, non penso se uno è biondo o scuro. Ho trovato questo ragazzo, ha qualità da sviluppare, proviamo a lavorarci e vediamo se riuscirà a fare cose positive. Non ha esperienza di calcio su campi veri, ma per essere un ‘99 ha talento».

Il Real Madrid va avanti in Champions con gli aiutini. Anche in Europa funziona così?
«L’arbitro fa parte del gioco, è come un centravanti. Negli errori di quella partita non c’entra l’arbitro, ma i suoi collaboratori. Non lo hanno aiutato».

La Juve che ha pescato il Monaco in semifinale può vincere la Champions?
«Sì, se la gioca, ha dimostrato che riesce a fare bene sia la fase difensiva che offensiva. Con il Monaco l’unico pericolo è sottovalutare l’avversario».

Intanto la squadra di Allegri si accinge a vincere il sesto scudetto…
«Non corre pericoli, ha qualcosa di più, ha giocatori importanti. Se cambiano Tevez con Higuain non ci perdono mai. L’ossatura della squadra da sei anni è sempre la stessa».

Se fosse rimasto alla Roma quando Sensi decise di fare investimenti importanti avrebbe potuto finalmente vincere?
«Fate finta di non sapere, ma io sono stato mandato via anche se avevo un altro anno di contratto perché con me il sistema ci avrebbe impedito di vincere. Nel mio secondo campionato ci sono mancati 23 punti per errori arbitrali. Quelli erano errori calcolati, non come quelli del Real Madrid, per intenderci. Sensi quando decise di investire – anche troppo, secondo me – capì che con me non poteva vincere, ha cambiato e accettai quella decisione. Ma questa è una storia conosciuta, sono usciti i libri neri, basta andare a rileggerli…».

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