Si chiude un romanzo ma la storia continua. La stella brillerà ancora

Corriere della Sera (G.Bianconi) – Per i tifosi romanisti, i sessantamila che ieri hanno colorato l’Olimpico e tutti quelli rimasti fuori, è un capitolo che si chiude. Il più importante e il più lungo, quasi un intero romanzo. Ma la storia continua. C’era la Roma prima di Totti, c’è stata con lui (un quarto di secolo, il periodo più denso e più bello), e ci sarà dopo (in quali condizioni si vedrà). Con le sue glorie e le sue miserie, le vittorie e le sconfitte, le gioie e le amarezze, i sorrisi e le lacrime. Sentimenti ed emozioni vissute quando Totti non era ancora nato, proseguite con lui che ne ha alimentate più di ogni altro, e che continueranno dopo che avrà preso un’altra strada: dietro una scrivania della società o in un luogo diverso, sinceramente, conta poco. Questi venticinque anni illuminati dalla sua stella resteranno per sempre, non è un addio più o meno malinconico, sicuramente commovente, a oscurarli; né il fatto che ieri ha indossato la maglia numero 10 per l’ultima volta in una partita ufficiale cancellerà i sogni, le esultanze e le delusioni delle migliaia di bambini (molti hanno appena imparato che cos’è un pallone, ma molti sono cresciuti fino a diventare uomini) che l’hanno infilata ogni volta con orgoglio, come se fosse proprio la sua, e non se la volevano levare nemmeno per andare a dormire.

A pensarci bene, anche per i romani non romanisti la storia non finisce oggi. Perché il capitano della Roma è un pezzo di città, ha perfino costretto un sindaco juventino a partecipare alla festa dello scudetto con la sciarpa giallorossa al collo, e chi è nato e vive qui sa che se pure Francesco Totti non calcherà più i campi di calcio portando in giro i colori dell’Urbe, l’Urbe andrà avanti con le sue bellezze, risorse e difficoltà sempre più gravi. Ma in questo lui non c’entra. Totti continuerà ad essere parte di Roma, un simbolo del romanismo e della romanità che può inorgoglire o infastidire, a seconda dei punti di vista. Ma simbolo resterà.

Forse è per i non romanisti e i non romani che potrebbe cambiare qualcosa; è a loro che sembrerà strano, a qualcuno persino incredibile, il distacco del numero 10 – quel numero 10 – dal «rettangolo di gioco». Perché dai riflettori degli stadi Totti è passato a quelli dello star system, riempiendo gli schermi televisivi non solo durante le cronache delle partite ma anche con le pubblicità, le ospitate a Sanremo e in altri programmi in cui ha dispensato battute, smorfie, ironie. Nel tempo in cui i campioni dello sport sono diventati veicolo di comunicazione e propaganda, lui ne è diventato una delle massime espressioni, sempre legata al suo rapporto con la Roma e con Roma; magari seguiterà a farlo, ma senza entrare in campo la domenica (anche solo in panchina) non sarà più la stessa cosa. Vista da fuori, una città che affonda nelle sue buche e da dove gli imprenditori sembrano intenzionati a scappare, dà la sensazione di perdere un altro pezzo pregiato. Un ulteriore segnale (apparente) di una decadenza purtroppo non solo apparente.

Ma al di là delle simbologie e di tutti i contorni che si possono individuare, quella di Francesco Totti calciatore nato, cresciuto e consacrato nella Roma è una parabola che quando è cominciata si sapeva che prima o poi doveva finire, come uno dei suoi tiri che per trecento volte hanno gonfiato la rete. Ci sono stati altri campioni che hanno giocato e vinto di più, in altri contesti, ma hanno significato meno, molto meno. Per questo il loro addio al calcio non ha richiamato tutta l’attesa e l’enfasi cresciute fino all’esagerazione per il saluto del Capitano al suo popolo. Atto finale di una rappresentazione unica. Ora è calato il sipario, e l’ultima partita con la Lupa sul petto – partita vera, all’ultimo respiro, per uomini veri come lui – s’è trasformata in un ultimo gol, il più sentito e commovente. Celebrato da tutti, anche da chi non ha nulla a che fare con la Roma e con Roma. Qualcosa vorrà dire. Perché se pure la storia continua, il capitolo (o il romanzo) che si chiude è stato lunghissimo e bellissimo: un pallone, un paio di scarpini, una maglia gialla e rossa, la fascia al braccio e molto di più. Grazie Francé . Ho i brividi e sto piangendo. Come te, come tanti, tantissimi. Se rivedemo.

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