Gazzetta dello Sport – Paura De Rossi, Luis senza difesa: “Ma giocherà”

I tacchetti lasciano il segno, il dolore è forte come lo spavento, la Roma trema. Accade tutto alle 13.40: lo scarpino di Bojan Krkic incontra il gomito sinistro di Daniele De Rossi. L’impatto costringe l’azzurro ad abbandonare l’allenamento, la preoccupazione è tanta perché lì per lì non riesce più a stendere il braccio, il panico si fa strada nell’infermeria di Trigoria perché senza De Rossi Luis Enrique non saprebbe chi schierare accanto a Kjaer, l’unico difensore superstite della rosa giallorossa, oltretutto quello col rendimento peggiore. Passano i minuti, il dolore resta ma si fa più sopportabile, lo spavento cala perché dopo la prima valutazione medica sono tutti d’accordo nel giurare che «De Rossi ci sarà». Ha solo una contusione, col passare delle ore il livello di allerta scende, comunque il ragazzo giocherà. Già, anche con un braccio solo.

Un paio di ore prima, Luis Enrique aveva annunciato ufficialmente l’arretramento di De Rossi, per nulla preoccupato. «Daniele può giocare ovunque, anche al centro della difesa è una garanzia». Soprattutto in un reparto che tra defaillance, infortuni e squalifiche, ha sofferto le pene dell’inferno, spesso vanificando quanto di buono costruito dal resto della squadra. E alimentando un dubbio divenuto quasi esistenziale: sono scarsissimi i difensori o è il modulo di Zichichi che li lascia troppo scoperti? Detto che la squadra ultimamente è apparsa straordinariamente prudente, ma più per istinto di sopravvivenza dei calciatori che per convinzione del tecnico, Luis si prende tutte le responsabilità, pure un po’ stizzito: «Quando sbagliamo, sbagliamo tutti. Se ho accennato in passato alla difesa, in realtà parlavo di errori di tutta la squadra, e mi metto in mezzo anche io». In effetti, hanno sbagliato pure gli attaccanti, tanto che da anni non si vedeva un reparto così stitico alla Roma. Luis Enrique se ne frega. «A me interessano più le palle gol create».

La conferenza sale di tono. L’asturiano si irrita quando gli si chiede conto delle difficoltà di apprendimento della squadra, ancora evidenti dopo otto mesi di lavoro. «Normale, il calcio non è matematica. Anche Ferguson dopo 25 anni ha le sue difficoltà al Manchester United». Gli piacerebbe avere gli stessi problemi di sir Alex, da ieri si è preso un tempo sufficiente per provarci. «Avevo detto che sarei rimasto qui cinque anni? Facciamo dieci, io sto benissimo a Roma». Che, è bene chiarirlo una volta per tutte, non è né vuole essere la fotocopia del Barcellona (non essendone, in effetti, nemmeno parente alla lontana). «Non cerchiamo di giocare come il Barcellona, è impossibile — ammette Luis Enrique —. Il modello di gioco che più ti avvicina alla vittoria è quello che ti porta vicino alla porta. Così ho fatto nelle squadre dove sono stato e così sto facendo qui. Il nostro è un calcio associativo, ma fare quello che fa il Barcellona è impossibile. Il Barça ha caratteristiche che non si adattano ai nostri giocatori». E la Roma ha giocatori che porterebbero le borracce a quelli del Barça. «I nostri sono giovani, e il guaio è che qui si pretende troppo da loro».

Saranno in grado almeno di battere il Novara? Non a caso, Luis avverte: «Mi preoccupa la mia squadra, se avrà l’atteggiamento mentale giusto». E la rincorsa all’Europa, è ancora aperta? «Prima battiamo il Novara, poi ci penseremo. È un’avversaria pericolosa. E poi alle 12.30, davvero un orario strano…». A Roma si dice: a chi tocca nun se ‘ngrugna. Tradotto: prima o poi capita a tutti. Capito Luis?

Gazzetta dello Sport – Alessandro Catapano

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