Roma-Lazio a Cinecittà

La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Ciak,si gira. Anzi, no: tutti giù dal ring. Il k.o. tecnico, d’altronde, è così evidente che non c’è neppure bisogno di far salire tra le corde «Rocky» o «Toro scatenato». James Pallotta e Claudio Lotito ci perdoneranno ma, quanto a ribalta internazionale, a Roma tra cinema e calcio non c’è match. Se i due club capitolini, infatti, raggranellano insieme 5 scudetti e una serie di Coppe di nobiltà variabile, Cinecittà – la «Hollywood sul Tevere», come veniva definita nei periodi ruggenti – negli 80 anni di vita festeggiati il 28 aprile ha messo in vetrina 47 Oscar, sgranati fra gli oltre tremila film girati (tutti o in parte) negli «studios» della Tuscolana. Ma pallone e pellicola, in fondo, hanno in comune parecchio. Stelle strapagate e comprimari dimenticabili, grandi promesse e grandi delusioni hanno calcato set e campi di gioco, scaldando senza pause l’immaginario di milioni di persone. Eppure, nonostante la bacheca di Cinecittà sia superiore a quella di Roma e Lazio, gli ultime decenni hanno sancito il sorpasso del calcio ad un cinema dissanguato sempre più dalla crescita di tv e web. Il derby, allora, è l’occasione per immaginare una sinergia e girare un kolossal virtuale che ricordi i fasti di Cinecittà, anche perché gli attori giusti non mancano. Ma a pensarci bene c’è anche altro ad accomunare le due realtà. Nel 1937 il fascismo capì che il cinema, se adeguatamente indirizzato, poteva diventare uno straordinario veicolo di consenso politico; adesso, 80 anni più tardi, l’impressione è che anche il calcio si stia trasformando in un astuto movente per cercare popolarità da utilizzare a fini eterodossi. E allora, per distoglierci dai cattivi pensieri e riconciliarci con la bellezza, c’è bisogno che Roma e Lazio scrivano oggi una sceneggiatura da Oscar. «La fabbrica dei sogni», in fondo, potrebbe essere uno slogan che cinema e calcio potrebbero condividere.

TOTTI “L’ULTIMA SFIDA DI UN GLADIATORE SENZA CONFRONTI” – Un giorno di maggio del 2010 si ritrovarono addirittura insieme dentro al Colosseo. Da una parte Francesco Totti, capitano della Roma e simbolo sportivo della città; dall’altro Massimo Decimo Meridio, «Il Gladiatore» per antonomasia dei nostri giorni. E pazienza se Russel Crowe, nella realtà, aveva il sorriso bonario di un attore neozelandese un filo in sovrappeso e addirittura una dichiarata simpatia per la Lazio. Come insegnava il cinema di John Ford, «quando la leggenda incontra la verità, vince sempre la leggenda». Quanto bastava perché Totti avesse una benedizione virtuale su quella fascia da capitano con su impressa l’immagine stilizzata di un gladiatore, che cominciò ad indossare subito dopo l’uscita del film, nella stagione 2000-2001, quella che valse lo scudetto. In quei giorni Francesco aveva 24 anni e immaginava di sgranare successi numerosi come i granelli di sabbia nelle arene dell’antichità. La realtà ha raccontato altre storie, raramente vincenti ma quasi sempre bellissime. Oggi (forse) sarà l’ultima apparizione del capitano nel derby. E tutti i gladiatori del mondo faranno fatica a non commuoversi.

SPALLETTI “QUO VADIS? MA L’ALLENATORE NON RISPONDE” – «Dove vai?». «Vado a Roma per essere crocifisso una seconda volta». No, non è un pensiero di Luciano Spalletti prima di accettare l’anno scorso la bellissima (e dolorosa) panchina giallorossa, ma il dialogo chiave di uno dei più grandi kolossal girati negli studi di Cinecittà. «Quo vadis?», appunto. A pensarci bene, la stessa domanda che la Roma fa silenziosamente al proprio allenatore dall’inizio della stagione. Ma nonostante le insistenze, il presidente Pallotta finora pare meno convincente del San Pietro cinematografico, che riuscì a ottenere una risposta dal proprio interlocutore, nonostante si trattasse addirittura di Gesù. A Boston, invece, sull’ormai futuro prossimo della panchina non ci sono certezze. «Dove vai?», chiedono a Spalletti i dirigenti e i tifosi romanisti, preoccupati che l’avvento di qualche nuova e ricca divinità calcistica possa convertire il tecnico sulla via di Trigoria. L’impressione però è che bisognerà pazientare ancora poco e poi si saprà tutto. D’altronde non bisogna stupirsi più di tanto, perché spesso il calcio, come la religione, in fondo è una questione di fede.

PALLOTTA “MR. JAMES PRIMA ‘SISTEMA’ POI RITORNA – L’avevano promesso, e gli occhi sembravano sinceri. «Passerò tanto tempo a Roma», avevano detto Tom DiBenedetto (prima) e James Pallotta (poi). Ma si sa che le buone intenzioni a volte si scontrano con la realtà e così entrambi i presidenti giallorossi dell’era statunitense hanno consumato appena le bellezze di questa città e le poltrone nobili degli uffici di Trigoria. Gli affari sono affari, per carità, e allora pare ovvio che due imprenditori di tale calibro abbiano dovuto passare la maggior parte del tempo negli Usa. Con gli anni, comunque, il ritornello è cambiato, diventando: «Quando sono in America lavoro tanto per la Roma». Indiscutibile, anche se qualche volta nell’universo giallorosso alcuni hanno avuto nostalgia del presidente che, nei momenti di difficoltà, irrompesse nello spogliatoio per rincuorare o mettere in riga la squadra. Calcio demodé, ce ne rendiamo conto. E allora meglio sperare che il titolo del film di Nanny Loy sia il pensiero segreto del presidente Pallotta: «Sistemo l’America e torno». Confidando che Monchi, dall’Italia, abbia buone notizie.

MILINKOVIC “QUALIFICAZIONE CON DUE RETI PER ESSERE DIVO” – Due modi opposti per diventare «Divo». L’uno immobile come una statua ma sempre sintonizzato sulla realtà, l’altro in movimento come un ghepardo, ma sempre puntuale a graffiare quando serve. L’oltre mezzo secolo di politica del Giulio Andreotti rivisitato da Paolo Sorrentino, si specchia nei 180 minuti (più emozionanti recuperi) che sono valsi due gol in altrettanti derby di Coppa Italia per Sergej Milinkovic-Savic, il serbo grazie a cui la Lazio ha ritrovato quel sorriso contro la Roma perduto quattro anni fa. Con queste premesse fenomenologiche, potremmo di sicuro fare peccato pensando male («copyright» Andreotti), ma siamo convinti che la maniera di anestetizzare la prestazione del biancoceleste sarà una delle prime preoccupazioni di Spalletti. Qualora non vi riuscisse, però, occhio agli effetti collaterali: se nelle prossime Stracittadine Milinkovic-Savic segnasse ancora reti pesanti, non si potrebbe escludere più nulla, nemmeno che il popolo laziale lo candidi in Parlamento. E chissà, forse non farebbe neppure brutta figura.

INZAGHI “IL BABY TIMIDO E’ DIVENTATO UN CASANOVA” – Volete mettere Bielsa? Uno che ha come soprannome «El Loco» sarebbe perfetto per una Lazio alla ricerca perpetua di adrenalina. Invece no. L’allenatore argentino cambia idea e sulla panchina arriva Simone Inzaghi, quel «progetto» di tecnico destinato alla panchina della Salernitana. Insomma, più o meno come se una ragazza avesse un invito a cena da Brad Pitt e all’appuntamento si presentasse il ragioniere del piano di sotto. Ma l’amore, come il calcio, a volte è anche questione di tecnica e feeling, e così l’apparentemente grigio «fratello di» si è trasformato in un Casanova da orgasmi multipli – tipo il doppio derby di Coppa Italia – che hanno proiettato la Lazio in finale contro la Vecchia Signora. Come sorprendersi, quindi, che i tifosi biancocelesti adesso siano tutti innamorati di questo allenatore talmente giovane da non sfigurare in campo con i suoi ragazzi? Da vero seduttore, Inzaghi sorride e si schermisce. L’avviso ai naviganti però è d’obbligo: attenzione alle top model del calcio europeo. Presto potrebbero trovarlo anche loro irresistibile.

LOTITO “QUEL DIAVOLO DI PRESIDENTE ORA PARE BELLO” – A inizio stagione, fra tanti laziali la presidenza Lotito era vista con la stessa simpatia dell’apparizione di un diavolo in chiesa. Intendiamoci, siamo convinti che lo stesso presidente non abbia l’ardire di proporsi come uno stinco di santo, però diciamo la verità: quale puro di cuore sopravviverebbe nel calcio del Terzo Millennio? Supponiamo nessuno. E allora, più che un demonio, il patron della Lazio sembra essere uno di quelli in grado di battere Mefistofele sul suo stesso terreno, proprio come succede al Faust del film di René Clair. Come di prammatica, il Professore vende l’anima in cambio di giovinezza, ricchezza e potere, riservandosi però la possibilità di vedere quello che gli riserva il futuro. Un’astuzia che gli consentirà di costringere Mefistofele a cancellare il patto sottoscritto. Colpo di genio o percorso interiore? Lotito per adesso non s’interroga e passa all’incasso. In questa stagione in fondo sembra davvero ringiovanito, e nessun tipo di diavolo calcistico pare fargli paura.

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