La Repubblica – Squadra e club nella bufera: Osvaldo oggi a rapporto

I tifosi infuriati lo hanno già ribattezzato ‘Osbajo. La feroce sintesi romanesca di “lo sbaglio”, consente di sorridere di un momento che invece a Trigoria lascia almeno sbigottiti. Perché il “furto” del rigore – poi sbagliato – di Osvaldo a Totti, che in Francia è già stato ribattezzato “lo scontro”, fotografa il momento della Roma: regna l’anarchia nello spogliatoio di una squadra ultima nel 2013 in serie A e che non vince una gara di campionato dal 22 dicembre scorso.

Il rapporto con il pubblico demolito da quei sassi, alternati a qualche uovo, lanciati verso la macchina dell’attaccante italo-argentino domenica notte: quasi inutili le scuse tardive affidate ieri a Twitter: «Sono molto amareggiato, chiedo scusa a tutti i tifosi, non volevo assolutamente mancare di rispetto a Francesco. Alla maglia tengo tanto, sempre forza Roma».

Certamente a Osvaldo non basteranno per evitare la sfuriata di Sabatini: la Roma è furiosa, e il ds gli farà presente come certi atteggiamenti anarchici danneggino il club e i rapporti interni (possibili sanzioni). Ma nel mirino del management anche Totti, cui contestano di non essersi opposto all’iniziativa del compagno ristabilendo le gerarchie: dopo la partita però il capitano aveva spiegato di aver voluto evitare discussioni in campo. Lo stesso numero 10 aveva gradito poco il gesto di Osvaldo: lui, se non altro, ha evitato scenate. Per non sbagliare, il tecnico Andreazzoli, arrabbiatissimo per la scena, dopo aver rivisto ieri la gara con i dirigenti, striglierà con forza la squadra per spiegare a tutti che non è possibile dare l’impressione che ognuno possa fare ciò che vuole. Intanto, però, l’ennesima stagione liquefatta a febbraio costringerà la proprietà Usa a prendere decisioni nette. Soprattutto sui dirigenti: Sabatini, contratto in scadenza, potrebbe non essere confermato (c’è la Samp). A Baldini, che per la panchina del futuro pensa ad Allegri e Ancelotti, non è detto sia data la possibilità di sbagliare ancora.
La Repubblica – Matteo Pinci

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