Corriere dello Sport (F.M.Splendore) – Era il 22 maggio scorso a Cassino: che la sua candidatura alla panchina della Roma circolasse con una certa insistenza era un dato di fatto. Eusebio Di Francesco salì sul palco a ritirare il Premio Maurizio Mestrelli, il figlio dell’indimenticato Tommaso, che giocò con la Roma negli Anni Cinqunta e vinse con la Lazio lo scudetto del 1974 da allenatore. «Se mi chiedete una squadra che ho nel cuore rispondo che nella mia famiglia quella squadra è la Roma, perché mio figlio è cresciuto con quei colori». In sala c’era anche Giampiero Pocetta, il manager di Lorenzo Pellegrini e Gregoire Defrel: tutto sembrava curiosa coincidenza allora, tutto divenne un puzzle perfetto poco più di un mese dopo. La Roma è la squadra in cui da calciatore Eusebio vinse lo scudetto del 2001: in quella stagione, con Capello, giocò poco perché si era infortunato. Ma alla Roma tornò come team manager di Spalletti, prima di intraprendere la strada di allenatore. Lanciano, Pescara, casa. Poi Lecce, Sassuolo, il salto in Europa League. E la Roma. Dopo che la Fiorentina lo aveva seguito, dopo che il nome era finito anche sulla scrivanie di casa Juventus, quando si cercava di capire cosa volesse fare Allegri. Di Franceso è questo: è fatto dei valori della sua terra, il lavoro, l’orgoglio, l’onestà. Rispetta i suoi maestri, ma non ama le etichette e quella di zemeniano gli sta stretta perché lui ha studiato dentro un calcio necessariamente più evoluto e ha fatto altro. La Roma era una sorta di stella cometa. Ora che ci è arrivato in quegli occhi sgranati e chiari come il suo pensiero c’è la voglia di lasciare un segno.