Non dare uno stadio alle ragazze della Roma è violenza di genere

La Repubblica (M. Bonafoni) – La strada che trattiene le donne su un piano di subalternità rispetto agli uomini è lastricata di storie le più varie. Fa parte senza dubbio di questo genere di storie la vicenda della As Roma femminile, la squadra della Capitale che inanella continue vittorie, senza riuscire però ad ottenere il riconoscimento più elementare: un vero campo in cui giocare.

La squadra allenata da mister Alessandro Spugna si allena al Tre Fontane, rettangolo di gioco adatto alla sola preparazione. Del tutto fuori norma per la Uefa, dettaglio non da poco visto che la Roma femminile ha raggiunto ormai qualche mese fa un risultato storico: si è aggiudicata la fase finale della Women’s Champions League, il torneo più importante d’Europa.

Il campo del Tre Fontane non è dotato delle torri faro indispensabili per disputare le partite serali. Di conseguenza la Roma non potrà giocare le partite in casa nella sua casa, ma dovrà trasferirsi al Francioni di Latina.

All’origine di tutto un contenzioso con mille intrighi e poche risposte, che vede discutere ormai da tempo la società Eur SPA, proprietaria dell’area, il Comune di Roma, proprietario del campo, e il gestore del Tre Fontane che sostiene di non poter installare lui le torri in quanto di sicuro non proprietario del fazzoletto verde.

Della diatriba sappiamo di uno scambio di lettere, di sicuro del Comune di Roma all’indirizzo di Eur Spa, missiva datata addirittura giugno 2022. Poi lo scalpore, poi appunto più niente. In un silenzio che rischia di fare male tanto quanto le altre discriminazioni ancora presenti nello sport ai danni delle donne: trattate economicamente peggio dei maschi, poco rappresentate ai vertici delle federazioni, colpite da stereotipi e pregiudizi. “Alla Roma maschile non sarebbe mai successo di non avere un campo pronto per giocare la Champions League”, si è detto all’indomani dello scandalo. Certo che no.

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