Montali: «Caro Totti, eri il mio Jordan»

Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Due anni con Totti. Possono bastare e insieme non essere abbastanza. «Sono stato allo stadio con mio figlio, domenica. Ci siamo abbracciati piangendo, senza un briciolo di vergogna. Piangeva Francesco, piangeva lo stadio, piangeva una città. Direi che questo è sufficiente per capire che cosa abbiamo perso». Gian Paolo Montali è stato dirigente della Roma dal 2009 al 2011: coordinatore, direttore generale, più che i titoli conta ciò che faceva. «Vale lo stesso per Totti. Adesso che è arrivato il momento di chiudere con il gioco e ancora non ha ben chiaro che cosa fare io lo obbligherei, non uso questo termine a caso, a diventare vicepresidente e insieme ambasciatore del club e di Roma nel mondo. Per un po’, mentre capisce esattamente che cosa sia meglio per lui».

SENZA PAROLE – Montali adesso è direttore del progetto della Ryder Cup di golf. Prima è stato allenatore di pallavolo con tanto di argento olimpico. E diverse altre cose. «Ma uno come Francesco non l’ho mai incontrato. E sì che le mie squadre non erano male, niente affatto. Lui però ha questo carisma che può fare a meno delle parole, questo spessore che supera qualsiasi esame. Quando entri in uno spogliatoio del calcio e cerchi di trasmettere qualcosa i giocatori cominciano a toglierti la pelle di dosso. Per capire due cose: se sei competente nell’argomento che stai trattando e se sei sincero. In Totti chiunque scopriva immediatamente queste qualità. Nessuno ha mai sentito il bisogno di chiedergli lunghi e profondi discorsi, tipo quelli di Buffon». Luciano Spalletti non l’ha capito e Montali non ci si raccapezza. «Non arrivo proprio a comprendere come si possa non andare d’accordo con Francesco. Con uno che prima di Natale girava per tutta Trigoria, avanti e indietro, lui e il suo preparatore Vito Scala carichi di borse. Parlavano con tutti. Mi sono informato e ho scoperto che quando arrivavano le feste portava regali a tutti coloro che lavoravano a Trigoria. I più semplici ai gradi più alti della società, i più belli agli altri. All’inizio io unificai gli spogliatoi, quello degli anziani e quello delle riserve. Tutti dovettero rinunciare a un po’ di spazio, Francesco in primo luogo. Eppure mi disse: direttore, ho capito perché lo ha fatto». Capitano silenzioso e sapiente. «Scienziato, direi. Nel suo campo, il gioco del calcio. Mi faceva incavolare. Se si fermava durante un allenamento veniva da me, che ero sempre a bordo campo, e mi diceva: ho uno stiramento all’inserzione tendinea del quadricipite. Oppure: questa è una distorsione tibiale di secondo grado. Io allargavo le braccia e rispondevo ma dai, Francesco, vatti a fare un’ecografia. E, accidenti, aveva sempre ragione lui. Prima delle partite mi spiegava: se giochiamo così e così vinciamo, ma se sbagliamo questo e quello no. E aveva ragione anche lì. Quando nell’intervallo delle partite eravamo in vantaggio e lui cominciava a elencare gli errori da evitare io me ne andavo. Non volevo starlo a sentire perché succedeva regolarmente quello che aveva previsto».

PARAGONI – Sbagliava, Totti. E sapeva raddrizzarsi. «Quando diede un calcio a Balotelli durante la finale di Coppa Italia io lo rimproverai perché aveva lasciato la squadra in dieci e gli infliggemmo la multa prevista dal regolamento interno. Le radio cominciarono a massacrarmi. Invece Francesco ammise di avere torto e andò a dirlo a tutti i giornalisti. Non ho mai incontrato nessuno della Roma, calciatore o meno, che non gli volesse bene e non gli riconoscesse la virtù dell’onestà». Per trovare un paragone adeguato Montali è costretto a frugare nell’olimpo dello sport. «Michael Jordan. Per talento, per carisma. Quando io arrivai alla Roma, Francesco aveva già superato la trentina. Qualche volta si sentiva scoraggiato. Io gli ricordavo che Jordan a 38 anni era tornato a giocare e aveva disputato una delle sue stagioni migliori». Air e il Capitano, quasi il titolo di una serie televisiva.

L’ex dirigente della Roma è intervenuto anche ai microfoni di Retesport. Queste le sue parole:

Come ha vissuto il “suo” Totti e cosa le ha lasciato la serata di domenica?
“Inizialmente ero a Londra, all’Europeo di golf. Ma ho scelto di tornare e di non mancare. Francesco è un atleta e un uomo che mi ha dato tantissimo e che è stato un esempio. È un leader carismatico, un eroe dei nostri tempi moderni a cui Roma è legata indissolubilmente”.

Nella gestione della figura di un campione come Totti, all’interno del contesto della Roma, è normale che si incontrino difficoltà?
“Io una cosa del genere non l’ho mai vista. I giocatori a fine carriera sono anzi motivo di supporto. È solo un problema di personalità. Per gestire certi personaggi serve personalità. Conte ad esempio ha avuto un rapporto simile con Terry, ma lo ha spronato come esempio e modello nonostante lo scarso utilizzo. È una questione di organizzazione e struttura societaria”.

Cosa consiglierebbe a Totti per il futuro?
“Lo obbligherei a fare l’ambasciatore della Roma nel mondo. Per l’amicizia e per il bene che gli voglio lo obbligherei letteralmente (ride, ndr). È una risorsa e un valore aggiunto per la Roma, poi ovviamente lascerei scegliere a lui”.

Se Totti fosse venuto dal direttore Montali, chiedendole un altro anno da giocatore, gli avrebbe rinnovato il contratto?
“Posso solo dire che se dovesse mancargli l’adrenalina del campo può raggiungermi a giocare a golf. Lo invito personalmente. È uno sport vero, anche se in tanti pensano il contrario”.

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