Mariani: “Pensavo veramente che Totti nel 2006 avrebbe giocato i Mondiali, più in generale sono ottimista. Felice per il ritorno di Strootman”

Mariani

ilfattoquotidiano.it (M.Guerra – E.Sabatino) – Francesco Totti, Kevin Strootman, Lorenzo Insigne, Damiano Tommasi. Questi sono solo alcuni nomi dei circaduemila atleti che il Professor Mariani ha operato e guarito durante i suoi quaranta anni di carriera. Siamo andati a trovarlo nel suo studio a Villa Stuart per conoscerlo meglio e scoprire qualche altra curiosità su un mito della chirurgia traumatologica sportiva e non solo.

Come ha deciso di avvicinarsi alla medicina e alla chirurgia?
Per caso. La scelta di medicina è stata una casualità. Successivamente avevo deciso di fare il cardiologo, ma poi mi sono accorto che il mio orecchio non aveva un udito così elevato. All’epoca la cardiologia era solo fonendoscopio e quindi decisi di cambiare in favore di una disciplina meno medica. Arrivai a clinica ortopedica con il Professor Perugia che si interessava di Traumatologia dello sport. Anche questa può essere definita una casualità. Possiamo dire che la mia vita è stata una serie“sliding doors”.

Praticava sport? E’ appassionato di qualche disciplina in particolare?
Non ho mai praticato sport. Mi piace vedere la pallacanestro. Seguivo molto la Stella Azzurra, mi ricordo grandi giocatori come Tonino Costanzo. Al Palazzetto c’era una bella atmosfera.

Quanto può durare una carriera di un chirurgo? Ci sono segnali anche a livello fisico?
Non c’è una durata precisa o determinata. Non esiste un punto di inizio o di fine, è un continuo evolversi. L’unico segnale è quello che ci da la polvere che passa dentro la clessidra. Un medico deve anche essere bravo a riconoscere i segnali del proprio organismo. Fino a quando potrò e mi piacerà fare questo mestiere, continuerò a farlo. Quando capirò di non essere più in grado di fare quello che faccio ora smetterò. Preferisco finire la carriera che fare le cose fatte male.

Le piace ancora il lavoro che fa? Si emoziona ancora quando opera?
Si, altrimenti avrei iniziato a godermi la vita. Se mi emoziono? Ancora si, il tavolo operatorio mi da ancora tanta emozione. In ogni intervento c’è sempre una goccia di adrenalina che ti scorre nelle vene. Certo qualche intervento è di routine, ma è un lavoro che non mi annoia mai perché ogni intervento ha una sua particolarità.

Ha già individuato l’erede di Mariani?
Bella domanda (ride ndr). Mi sono già posto il problema.  Intanto dobbiamo capire quando smetterò, perché ancora non lo so. Se oggi smettessi ci sono tanti colleghi bravi. Nel corso della mia vita sono riuscito a formare tantissime persone che oggi lavorano con i miei insegnamenti. Noi siamo un po’ come gli artigiani: Si entra in bottega e il mastro ti insegna il mestiere. Un giorno ho provato a contare tutti gli allievi che avevo formato, ma non ci sono riuscito perché sono davvero tanti. Rimane il fatto che la scuola italiana è una delle migliori e quindi dopo di me ci sarà sicuramente qualcuno bravo.

Ha avuto la fortuna e la bravura di operare e seguire numerosi atleti e campioni. Quale intervento è stato il più difficile e quale le ha dato maggiori soddisfazioni?
Non saprei dire quale è stato. Posso dire che pochi giorni prima di operare Strootman, operai un giocatore del Benfica (Salvio ndr) che presentava delle difficoltà a livello tecnico. Altri giocatori me li ricordo anche per le difficoltà a livello psicologico o di diagnosi. Ogni intervento ha il suo grado di difficoltà. Il bravo medico non è solo quello che sa fare il tavolo liscio e lineare, ma è quello che riesce a superare le complicazioni che gli si presentano davanti , perché già le ha viste oppure perché ha già sbagliato una volta. L’esperienza è il nome che diamo ai nostri errori. La bravura sta proprio li, nella capacità di gestire le difficoltà.

Quanto è importante la psicologia in questo tipo di interventi? Ha mai pensato che un atleta non riuscisse  a tornare ad alti livelli?
E’ molto importante senza dubbio. Ci sono pazienti con cui si instaura un rapporto di empatia anche a livello umano, mentre con altri si hanno più difficoltà. In molti casi è importante anche tenere a distanza il paziente. Comunque si, mi  è capitato delle volte di pensare che un atleta non potesse farcela a tornare ad alti livelli.

Nel 2006 disse a Francesco Totti “Giocherai il Mondiale”. Lo pensava veramente o era solo una mossa a livello psicologico?
Lo pensavo veramente all’epoca. Più in generale sono tendenzialmente ottimista, che può essere considerato anche un mio limite. Diciamo che ci sono due tecniche di approccio: quella del medico che abbassa le aspettative così qualunque risultato è tutto di guadagnato e quella del chirurgo che dice al proprio paziente che è andato tutto bene e che si vedrà poi dove riuscirà ad arrivare. Io opto per la seconda perché vedo sempre il bicchiere mezzo pieno.

E’ mai successo che la guarigione di un paziente superasse anche le sue aspettative?
Se parliamo di “semplici” pazienti allora sicuramente si, in qualche occasione è capitato. Se invece parliamo di atleti, avendone operati più di duemila durante la mia carriera, mi rimane un po’ difficile ricordarmeli tutti. Ci sono stati anche casi, però,  in cui il mio intervento non ha portato al risultato che ci eravamo prefissati. E’ una cosa che può succedere.

Dopo la partita di Genova ha sentito Kevin Strootman?
No. Ci siamo sentiti dopo il quarto d’ora che fece contro il Palermo. Il nostro rapporto era finito quando l’ho restituito alla squadra.

Che effetto le ha fatto rivederlo così bene in campo?
Purtroppo non ho avuto modo di vedere la partita e mi dispiace molto. Dire che sono stato contento è dire poco perché sono un tifoso della squadra e lui è un giocatore importantissimo per la Roma. Mi ha fatto molto piacere anche a livello umano e soprattutto professionale.

In America c’è il caso del Dottor. Steadman che ha operato campioni del calibro di Danilo Gallinari, Russel Westbrook e Giuseppe Rossi, che sono stati poi costretti a tornare sotto i ferri. Come è potuto succedere?
(Risata inziale) Molte volte crescono dei miti. Steadman lavora in un grosso centro del Colorado, in cui ha costruito il suo successo. Ha inventato, in realtà, una cosa banale nel mondo della chirurgia: nei difetti della  cartilagine lui faceva dei buchi con un uncinetto. Un metodo che funzionava senza dubbio e che gli ha permesso di creare un ottimo centro negli Usa e di diventare molto famoso. La scelta di andare da questo o da quel chirurgo dipende in parte dai procuratori e poi dal fatto che due degli atleti citati lavorano negli Usa mentre Rossi è cittadino statunitense. Comunque io dico sempre che se venisse un americano a lavorare in Italia dopo una settimana andrebbe via.

Perché?
Perché d’italiani bravi, checchè se ne dica, ce ne sono tanti e soprattutto superiori a tanti americani. Questo è fuori discussione.

Quante modalità ci sono d’intervento sul legamento crociato e perché delle volte si sceglie la terapia conservativa anziché essere operati?
Sul crociato si può intervenire in 20 o 30 modi differenti. Dobbiamo sempre considerare la vite che si sceglie o anche altri fattori. Delle volte si sceglie di non intervenire sul crociato perché non sempre è necessario essere operati. Ci sono persone che possono andare avanti anche con unlegamentocrociato rotto. Uno o due anni fa c’è  stato un giocatore di Serie A, di cui non faccio il nome, che ha giocato tranquillamente senza crociato. Io dico sempre ai miei pazienti che il crociato è come l’Abs delle macchine. Dipende sempre dall’uso che si fa della propria macchina: Ci sono piloti che sanno andare in autostrada anche senza abs, oppure altri che non ne hanno proprio bisogno perché usano la macchina solo per andare a prendere il giornale. Bisogna sempre valutare caso per caso.

Ci sono in fase di studio nuove terapie o interventi che potranno rivoluzionare il mondo della chirurgia e i tempi di recupero?
Si. C’è uno studio sulla genetica e le biotecnologie che sta andando parecchio avanti. Si stanno cercando, dalla scienza di base, i meccanismi per i quali si guarisce o non si guarisce e usarli a nostro vantaggio. Questo è il futuro.

In base a cosa viene fatta la scelta di applicare un legamento crociato artificiale o di prenderlo da un cadavere?
Lei conosce una corda che non si spezza mai? Io in tutta la mia carriera ho usato solo sei volte legamenti artificiali. Quelli da cadavere li ho usati solo quando non avevo “pezzi di ricambio”. Comunque in un soggetto sportivo non utilizzerei mai un crociato di un cadavere perché non sappiamo quando il tessuto morto sarà pronto per far camminare l’atleta. Si rischierebbe diattendere uno a due anni prima che questo legamento permetta ad uno sportivo di poter ripartire.

In passato molti atleti, come Francesco Rocca o Marco Van Basten, hanno chiuso la loro carriera prematuramente . Con le conoscenze di oggi avrebbero potuto continuare?
Ni. Per quanto riguarda Rocca, che seguii all’epoca del suo intervento, forse anche oggi avrebbe avuto difficoltà a continuare. Su Van Basten invece preferisco non rispondere perché non conosco a fondo la situazione e poi è stato operato da un altro chirurgo (sorride ndr).

I campi di nuova generazione (terza e quarta) sono pericolosi per le ginocchia? Prima si tornava a casa con una semplice sbucciatura ora si rischia il crociato, perché?
Perché prima ci si rompeva il crociato e non lo si sapeva. Non è vero che i campi di nuova generazione sono pericolosi per le ginocchia. E’ una leggenda metropolitana. Quaranta o cinquanta anni fa non si facevano diagnosi di questo tipo. Inoltre è una patologia del tutto occidentale, da paese ricco. Prima la gente aveva altri pensieri, ora la gente vuole sempre fare la partita a calcetto o la maratona. Ai miei pazienti dico sempre che Alcibiade è morto dopo una maratona, quindi che faccia così bene ho i miei dubbi (ride ndr).

Lo stretching meglio prima o dopo di una prestazione sportiva?
Se è visto come metodica allenante allora ci possono essere pareri discordanti. Se invece parliamo di prevenzione allora va bene sia prima che dopo. Il riscaldamento serve a migliorare la temperatura muscolare e alcune situazioni neuro-muscolari.

A 70 anni, con circa 44 anni di carriera formidabile con tanti campioni curati e con un contributo notevole dato alla medicina , il professor Mariani si ritiene soddisfatto?
Si, ma non mi siedo mai. Nasco come animale curioso e lavorando cerco sempre di farmi delle domande e di darmi delle risposte. Mi sento realizzato. Indubbiamente sono stato un uomo fortunato

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