Mancini: “Devi rinunciare a tante cose per arrivare ad alti livelli nel calcio. La famiglia è una parte molto importante”

Gianluca Mancini ha rilasciato un’intervista ai microfoni ufficiali del club, raccontando della sua carriera, dagli esordi fino alla Roma, tra sacrifici, difficoltà e sogni nel cassetto. Queste le sue parole:

Come sei stato scoperto?

Io ho iniziato nella squadra del mio paese a 7 anni, un po’ tardi perché mio padre non voleva farmi iniziare, diceva che ero sempre piccolo. Un allenatore mi vide ad una festa e conoscendo i miei genitori li invitò a portarmi al centro sportivo della squadra del paese. Ho fatto due anni lì con gli amici di scuola e del campetto. Dopo due anni un osservatore della Fiorentina del mio paese mi ha visto giocare e mi ha portato a Firenze. Ho fatto tutta la trafila nel settore giovanile della Fiorentina. Dopo aver finito il settore giovanile ho iniziato a Perugia, poi due anni a Bergamo e ora sono qua. Devi rinunciare a tante cose ma se hai un obiettivo e vuoi raggiungerlo si può fare.

Pochi ci riescono per via di questi sacrifici da fare. Tu hai avuto sempre il sostegno di famiglia e amici?

Si la famiglia è una parte molto importante per ogni calciatore che arriva a livelli alti. I miei genitori mi hanno sempre fatto passare la cosa con divertimento tranne quando arrivi tra i professionisti perché diventa un lavoro. Gli amici e la famiglia sono importanti per ognuno di noi.

Hai viaggiato molto. La vita del calciatore si racchiude in una valigia. Riuscite a mantenere dei legami?

Io ho un pensiero strano. I legami si creano però è difficile farli durare nel tempo. Io ho legato con alcuni: Spinazzola per esempio se l’avessi conosciuto fuori ne sarei stato comunque amico. Ma conoscere nuove persone, nuove tipologie di testa e ragionamenti, ti fa aprire un nuovo mondo. io che vengo da un paese molto piccolo mi ha fatto crescere in modo molto veloce, ero un ragazzino però sono cresciuto molto in fretta.

Quando torni nel tuo paesino ora che sei un calciatore professionista ti trattano diversamente?

Assolutamente no, io non voglio essere trattato diversamente. Voglio che i miei amici mi trattino da Gianluca che ero prima e Gianluca che sono adesso. Di calcio non parliamo praticamente mai, parliamo di quello che faccio a Roma, mi chiedono di mia figlia e mia moglie, parliamo di cose quotidiane.

Avere un partner, come nel tuo caso, aiuta in questo continuo cambiare di città in città, a sentirsi a casa?

Sì, il primo anno a Perugia sono andato da solo perché mia moglie lavorava ed era rimasta nel nostro paese. Io ero solo, a 19 anni, i primi mesi sono stati difficili perché lei la vedevo solo la domenica, i miei amici non li vedevo più, ed ero abituato a stare in famiglia con mamma, papà e mia sorella sempre in casa. Mi sono trovato da solo e ho passato momenti un po’ difficili. Avere mia moglie accanto mi aiuta in tutto, mi supporta in tutto. Io mi sfogo tanto con lei e riesce sempre a capirmi ogni volta.

Di recente avete vissuto un momento delicato per via della nascita prematura di vostra figlia. Come avete superato questo problema?

La bambina ha deciso di voler uscire prima. Sono stati momenti un po’ difficili perché siamo giovani, è la nostra prima figlia, è successo tutto molto velocemente. Mia moglie mi ha detto “Dobbiamo andare in ospedale”, il giorno dopo giocavamo. Siamo stati 4 ore e mezza in ospedale, sono tornato a casa alle 5.30 la mattina, alle 8 avevo la sveglia per andare al campo. Sono stati momenti difficili, mia moglie ha fatto il parto cesareo. Ho visto la bambina uscire e poi ce l’hanno portata subito via, l’ho vista dopo un’ora in un’incubatrice ed è stato un po’ pesante. Per fortuna l’ospedale è stato eccellente. Mia moglie è come me, tiene le cose di famiglia riservate, ma le sue parole mi hanno emozionato. Io ho cercato di fare il marito, dandole una mano, ma dovevo fare anche il professionista, c’era il campionato da giocare. Oltre a mia figlia c’erano altri bambini e altri genitori in quelle condizioni, alcuni lavoravano tutto il giorno, io mi sono detto “Perché io non devo andare ad allenarmi? Devo fare il mio lavoro e farlo bene per staccare un po’”, stare con i miei compagni mi ha aiutato.

Durante le partite porti con te qualcosa di significativo?

Ho nello zaino un bigliettino fatto da mia moglie ai tempi del primo anno dell’Atalanta, il mio primo anno in Serie A. Prima della Nazionale Under 21 mi fece trovare la lettera nello zaino, fu un gesto molto carino ed è sempre rimasto lì, perché da quel bigliettino sono successe delle cose positive.

Il tuo debutto nella Roma è stato molto speciale, la tua prima partita da titolare è stata un derby

E’ stata un’emozione stupenda. Quando ho firmato con la Roma, la prima cosa che ho pensato è stata: Roma è una città bellissima, una squadra importante e il derby dalla televisione l’ho sempre visto come una partita stupenda, molto caloroso e sentito. Il mister mi schierò titolare, mi ricordo dopo la partita l’emozione era a mille, anche se la pareggiammo, da parte mia è stato molto emozionante.

A riguardo del procuratore Giuseppe Riso

Io venivo da un’esperienza lavorativa con un’altra persona. Ci fu una telefonata di un ragazzo che aveva giocato con me nella Fiorentina, che mi disse che Beppe voleva conoscermi e scambiare due chiacchiere. Nel mondo del pallone non ho mai negato due chiacchiere a nessuno, sapevo chi era lui e come lavorava. Ci siamo incontrati a Bergamo in un bar, per me la sensazione è stata di conoscerlo da tanti anni. Lo chiamo leone, perché cerca sempre di farci stare tranquilli, anche se lo chiamo alle 4 di mattina risponde sempre. Avere una persona di stima e che ascolta le tue esigenze, si confronta con te, per me è importante. La figura del procuratore non c’è solo per parlare di contratti e squadre interessate, a me non piace così. Sono una persona chiusa ma per me i rapporti umani sono importanti. Se vedo una persona come me, che ragiona come me, io mi taglierei un braccio perché so che farebbe lo stesso per me.

Dai campi di Pontedera, agli Azzurri e alla Roma. C’è rimasto ancora qualche sogno nel cassetto?

A 24 anni ho ancora un mondo da scoprire, sia a livello umano che calcistico. Ho realizzato il mio sogno nel cassetto, ma quel cassetto è sempre aperto, perché deve durare ancora per migliorarmi e arrivare un giorno ad essere un bravo calciatore, un bravo papà, un bravo marito.

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