Corriere dello Sport – Così è cambiato Luis Enrique per far volare la Roma

Scende il possesso palla, sale la Roma. Beh, detta così sembra che sia sbagliato in assoluto mantenere il controllo delle operazioni. Ma quando è portato all’estremo, stucchevole e insignificante, il possesso palla è un giogo invece che un gioco. Luis Enrique lo ha capito dopo un mese difficile e ha corretto il sistema di gioco, adattandosi a un calcio diverso da quello spagnolo, “autorizzando” i calciatori a sfruttare le proprie caratteristiche. I risultati sono evidenti: al di là delle due vittorie consecutive, le prime della gestione alla spagnola, si è visto un miglioramento complessivo nella gestione della partita. Più qualità, più velocità, più intensità, le tre caratteristiche di una squadra vincente. (…)
C’era una volta il possesso palla. La trasformazione dopo un vertice con la squadra – E’ inversamente proporzionale il rap­porto tra il possesso palla della Ro­ma e la qualità della performance di squa­dra. Nelle prime cinque partite di campio­nato, il meglio si è visto sabato quando l’Atalanta ha tenuto addirittura di più (po­co di più) il pallone. E l’altra partita posi­tiva è stata quella di Milano contro l’Inter, quando la superiorità nel possesso è stata contenuta ( 55 a 45). Ma il vero cambia­mento filosofico di Luis Enrique è arriva­to venerdì 23 settembre, all’indomani del pareggio con il Siena ( 68% di possesso, partita terribile). Quel giorno, a Trigoria, l’allenatore ha avuto un acceso confronto con la squadra, a cui ha rimproverato po­ca personalità. Dall’altra parte i giocatori hanno spiegato le loro difficoltà nell’appli­cazione scolastica di certi meccanismi di gioco. E’ stata la base del chiarimento. Perché Luis Enrique, chiedendo alla Ro­ma di tenere il controllo del gioco, possi­bilmente muovendo il pallone in velocità attraverso una fitta rete di passaggi, non intendeva dire che si dovesse giocare sem­pre in orizzontale, senza mai attaccare la profondità. La squadra invece aveva capi­to che le occasioni da gol sarebbero scatu­rite da un possesso palla insistito, che pri­ma o poi avrebbe aperto spazi nella difesa avversaria, evitando ad ogni costo la “pal­la lunga”, come la chiama l’allenatore. Da parte sua, Luis Enrique ha compreso la necessità di cercare più spesso il lancio verticale (gol di Bojan sabato). O il cross dalla trequarti ( gol di Osvaldo a Parma) quando l’occasione è propizia. “L’impor­tante è non verticalizzare per forza » av­verte Luis Enrique. E infatti la rete del 3-1 all’Atalanta, con il triangolo Simplicio-Pjanic, è la sublimazione del lavoro tatti­co alla spagnola. Densità in mezzo al cam­po, palla che corre, uomo solo davanti al portiere. Tutto per vie centrali.
E’ nato il tridente con il trequartista. E ora quando esce Totti entra… Pizarro – “La mia Roma giocherà sempre con tre attaccanti”. La frase, un’affascinan­te sfida ai luoghi comuni, era stata pro­nunciata alla vigilia di Inter-Roma, quan­do tutto sembrava impossibile. Invece, nel secondo tempo della partita con l’Ata­lanta, sul risultato di 2-1, Luis Enrique ha contraddetto l’assioma. Quando Totti ha chiesto il cambio per l’infortunio musco­lare, ha fatto entrare Pizarro avanzando Pjanic sulla trequarti. Una sostituzione conservativa che ha modificato immedia­tamente la fisionomia e l’equilibrio della squadra, impedendo all’Atalanta di gua­dagnare metri. Dall’entrata di Pizarro, che a centrocampo ha gestito con intelli­genza il pallone, la Roma non ha più tre­mato e anzi ha trovato con comodità il gol che ha chiuso i giochi grazie a un assist di Pjanic, trequartista per la prima volta. Non era mai successo che Luis Enrique rinunciasse a un attaccante, se si eccettua il ritorno di coppa contro lo Slovan quan­do inserì nel tridente il giovanissimo Ver­re ( che punta non è). In ogni caso, non aveva mai cambiato idea in campionato. Avrebbe potuto tenere tre attaccanti di ruolo anche in questo caso, visto che in panchina era rimasto Borriello. Gli sareb­be bastato arretrare Bojan sulla trequar­ti, come a Bratislava. Invece ha preferito inserire un centrocampista, senza tocca­re il 4-3-1-2 che ormai è uno schema assi­milato dalla squadra. “Potrebbe ricapita­re – ha spiegato Luis Enrique -anche se io preferisco avere sempre in squadra il nu­mero più alto possibile di giocatori di qualità. Totti e Pjanic possono alternarsi ma anche giocare bene insieme”. Dipen­derà dai momento delle partite e dal risul­tato che si profilerà di volta in volta. In ogni caso, quella dell’allenatore è un’apertura mentale (e tattica) che torne­rà utile alla Roma.
De Rossi può anche attaccare. Dopo Parma ha avuto maggiore libertà di avanzare – L’interpretazione di Daniele De Ros­si della partita contro l’Atalanta è stata molto diversa rispetto alle prece­denti. Parole sue: “A Parma ero stato troppo remissivo, Luis mi ha chiesto di avanzare e costruire di più”. De Rossi, che pure era stato il miglior giocatore della Roma dell’inizio di stagione, ha avuto l’umiltà di accettare il suggeri­mento e ha partecipato con maggiore frequenza alla fase offensiva. In effetti a Parma, pressato dagli attaccanti av­versari, non riusciva a farsi largo: si è fatto sentire molto in copertura ma qua­si mai in fase propositiva. Sabato inve­ce non ha agito da terzo difensore cen­trale, tra Burdisso e Heinze, ma è sali­to davvero davanti alla difesa come un regista sudamericano. Mediamente, il suo baricentro è stato più alto rispetto a quello di Josè Angel, che di solito spin­ge molto ma in questo caso era terroriz­zato dalla velocità di Schelotto. Non è casuale per De Rossi l’assist a Bojan, con il lancio lungo in verticale. Sarebbe stato molto più complicato inventare una giocata del genere partendo venti metri indietro. La sua visione di gioco, unita alla tecnica nel palleggio e alla po­tenza di calcio, è una risorsa offensiva a cui la Roma non può rinunciare a cuor leggero. (…)
Pressing alto sì, ma si difende in dieci. Contro l’Atalanta spesso tutti dietro la linea della palla – Tutti dietro, si può. Ma come, non è una contraddizione per il calcio propositivo che vuole Luis Enrique? A volte no. L’alle­natore chiede alla Roma di pressare alto i portatori di palla avversari, lo ha urlato molte volte anche sabato, sbracciandosi quando l’Atalanta guadagnava terreno. Ma nessun allenatore vuole che il pressing spacchi la squadra in due tronconi. E co­sì, nei momenti in cui non si riesce a ricon­quistare il pallone nella metà campo av­versaria, Luis Enrique chiede ai giocatori di restare compatti, se necessario tutti die­tro alla linea del pallone. Contro l’Atalan­ta è successo in diverse occasioni, grazie al supporto di Bojan (ma soprattutto Bori­ni) e Osvaldo. Questo ha disorientato i gio­catori di Colantuono, che infatti nel dopo­partita ha confidato il suo stupore: “In al­cune fasi della gara sembravano loro l’Atalanta e noi la Roma. Noi li andavamo ad aggredire alti, loro ci aspettavano per sfruttare il contropiede. E poi ci metteva­no in difficoltà con le verticalizzazioni ra­pide”. Ovviamente non è sempre stato co­sì, nel corso della partita. Ma quando si è trovata in affanno, la Roma non si è quasi mai sfilacciata come le era successo con­tro il Siena e in parte a Parma. Ha sempre mantenuto una sua compattezza, abbas­sando di 8,5 metri (dati della Lega) il ba­ricentro nella ripresa: Heinze, che doveva badare a Denis, è rimasto in posizione molto arretrata come ultimo uomo a costo di tenere in gioco gli attaccanti dell’Ata­lanta (e così in tutta la partita c’è stato so­lo un fuorigioco provocato dalla Roma). (…)
Osvaldo più centrale: la formula funziona. Non è stato un caso che l’argentino abbia giocato la miglior gara – Nei giorni scorsi Luis Enrique si era sentito insegnare il mestiere da un pa­io di colleghi più esperti. « Osvaldo è una punta centrale, per me deve stare vicino alla porta e non defilato come gli capita nella Roma”. Parole di Stefano Colantuo­no in conferenza stampa, prima di Roma-Atalanta. Colantuono era stato interpella­to in quanto primo allenatore italiano di Osvaldo, inverno- primavera 2006. Più o meno nelle stesse ore Zdenek Zeman, al­lenatore di Osvaldo al Lecce, diceva: “Da­niel è frenato dal sistema di gioco della Roma”. Luis Enrique ha ascoltato (oppu­re no?) e ha chiesto a Osvaldo di sistemar­si in posizione centrale, anche a costo di “abbassarsi” di qualche metro per entra­re nel vivo del gioco, evitando il più pos­sibile il movimento verso l’esterno, dove per caratteristiche morfologiche diventa semplice da neutralizzare. Risultato: Osvaldo ha giocato la migliore partita da quando è alla Roma, non soltanto per il gol, bello e un po’ casuale. Ha partecipa­to molto attivamente alla partita, è stato cercato spesso dai compagni ed è stato molto presente anche nella fase difensiva. Piccola coincidenza: sabato, giorno di Ro­ma- Atalanta, era il primo ottobre, giorno del compleanno di Mirko Vucinic. Forse proprio sabato Osvaldo, con la mitraglia sotto la Curva Sud in stile Batistuta, ha cancellato il fantasma del giocatore di cui aveva dovuto raccogliere l’eredità anche a Lecce (estate 2006). (…)
Bojan è il vero punto di riferimento offensivo. La verticalizzazione per lo spagnolo può essere un’arma letale – Contro l’Atalanta, la Roma ha giocato con due punte centrali: Osvaldo e Bo­jan. Nessuna novità, era già successo quando Luis Enrique ha schierato Bor­riello o Borini dall’inizio. Ma è cambia­to il modo di giocare degli attaccanti. Os­servando nel dettaglio i metri di campo calpestati da ciascun giocatore, il vero centravanti della squadra è stato Bojan, con Osvaldo e Totti a supporto. In alcu­ne fasi della partita, il 4-3-1-2 si è tra­sformato in un 4- 3- 2- 1 perché Osvaldo collaborava alla costruzione come tre­quartista aggiunto, andando incontro ai centrocampisti. Bojan invece ha mante­nuto una posizione più avanzata, è stato il punto di riferimento offensivo, pro­vando a sorprendere alle spalle i difen­sori centrali dell’Atalanta. Il gol che ha portato in vantaggio la Roma, il suo pri­mo in serie A, nasce proprio da questo meccanismo. Osvaldo e Totti attirano l’attenzione dei difensori proponendo a De Rossi il passaggio corto, mentre Bo­jan cerca la profondità. I due centrali dell’Atalanta, Manfredini e Capelli, si la­sciano così scavalcare dal lancio vertica­le di De Rossi. Bellini, terzino sinistro che si è spesso dovuto occupare anche di Rosi vista la scarsa collaborazione di Pa­doin, fa un’ottima diagonale (ne proverà un’altra nel secondo tempo su Simplicio, concedendo il 3-1) ma va a coprire uno spazio che non è il suo e arriva tardi. Il resto lo fa la classe di Bojan che control­la il pallone, lo difende dal ritorno del difensore e lo piazza con delicatezza in porta. Un gol che concentra in un’unica situazione di gioco il talento dei singoli, De Rossi e Bojan, ma anche la prepara­zione di una mossa tattica. La verticaliz­zazione improvvisa, se hai la lucidità di De Rossi e la velocità di Bojan, ha le pre­messe di un’arma letale.
Corriere dello Sport – Roberto Maida

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