Lino Banfi: “Mou dobbiamo vincere. La Lazio si batte con il Nodo al Pettine”

Pagine Romaniste (A. Ferrantino) – Pugliese di nascita, romano d’adozione. Un inizio di carriera tutt’altro che positivo che lo ha portato a continuare ad avere una visione negativa del mondo circostante: “Vedo sempre il bicchiere mezzo rotto e senza liquido dentro. Ho realizzato i miei sogni ma continuo a vedere tutto negativo e ciò mi ha fatto bene in questi due anni perché dopo tanti tamponi sono risultato sempre negativo. È stato un grande vantaggio“. Intervista con humor, un pizzico di utopia e quel porca puttena divenuto ormai Patrimonio dell’UNESCO.

Com’è nata la passione per i colori giallorossi?

“Vivo a Roma da più di 60 anni e nonostante il mio accento pugliese a volte mi tradisco: dico birra o burro con una ‘r’ e allora dico a me stesso: “Che mi sta succedendo, sto a diventà romano? Ebbene sì, sono romano”. Quando arrivai nella capitale però non seguivo il calcio, ma ne sentivo parlare da tutti: ballerine, macchinisti, elettricisti e così via. Lavoravo anche di domenica a teatro e non potevo vedere le partite anche perché non avevo i soldi per comprare il biglietto. Una volta però, al bar Ambra Jovinelli dove soggiornavamo tutti noi attori disoccupati, arrivò un tizio che ci chiese chi di noi tifasse Lazio. Qualcuno alzò la mano ma io no, non l’avrei alzata nemmeno se avesse chiesto chi tifava Roma. Allora non seguivo il calcio perché ero costretto a praticare un altro sport: il salto del pasto che in alcuni giorni diventava triplo. Spinto dalla curiosità chiesi ai miei colleghi il perché di quella domanda. Mi dissero che suo padre era paralitico, era sulla sedia a rotelle, e perché il figlio non poteva accompagnarlo sempre allo stadio cercava una persona che potesse farlo. Mi avrebbero pagato 2.000 lire e fatto mangiare qualcosa al bar. Dissi subito: “Anche io sono laziale”. Volevo lavorare e guadagnare qualcosa. La domenica andai allo stadio: il figlio ci accompagnò in macchina e una volta vicino l’Olimpico faccio sedere sulla carrozzina l’uomo (particolarmente robusto) e facciamo un bel tratto di strada prima di sederci. Quando passammo davanti al bar del tennis vidi che sto laziale non mi pagò né panino né niente. Tra l’altro non parlava quasi mai ed era sempre incazzeto. Guardai la partita, anche se non me ne importava nulla, ed ero arrabbiato con lui a tal punto che l’avrei lasciato lì da solo. Ma dato che non fa parte del mio carattere, l’ho aiutato e l’avrei sempre fatto. Questa l’esperienza con il laziale. Un altro giorno, invece, mi chiesero di accompagnare un romanista. Gli dissi: “Della Lazio o della Roma non mi interessa, l’importante è che mi offre da mangiare”. Glielo dissero e quel signore mi fece: “Aò me sei simpatico. Ce famo na bella amatriciana”. Io gli rispondo: “Azzo! Vengo subito”. Mi diede la stessa paga del laziale ma in più una volta al bar del tennis, ci sedemmo a un tavolino e iniziammo a mangiare. A un certo punto mi fa: “Se famo un po’ de trippa?”. Feci un pranzo che non riuscii a stare in piedi a guardare la partita. Da allora cercai sempre questa persona per andare a vedere la Roma. Sembra una barzelletta ma così iniziai a seguire la Roma e a innamorarmi dei suoi colori sociali”.

Da romanista, considera Mourinho l’allenatore giusto per tornare a vincere?

“Mourinho è l’allenatore giusto ancora per qualche anno. Poi cambiano le persone e avanza l’età. José adesso può fingere di essere uno di loro, dato che agli occhi di tutti può apparire un ex giocatore che ha appeso da poco gli scarpini al chiodo. Col passare degli anni però viene considerato vecchio dai giovanissimi che dalla Primavera entrano in prima squadra. Per due tre anni va bene: dopo arriveranno i tempi supplementari e i rigori”.

Crede che la Roma possa arrivare in finale in Conference League?

“È un sogno troppo bello, però noi speriamo che accada. Tra l’altro dico a qualche giocatore romanista che dopo il gol prosegua la tradizione di Euro 2020 e dica Porca Puttena che per me vale come un premio alla carriera. È il mio sogno”.

Totti potrebbe tornare alla Roma. Come vedrebbe il suo ritorno.

“Totti è il mio capiteno e lo sarà per tutta la vita. Tra l’altro se la cava bene anche come attore e non è detto che un giorno possiamo girare un film insieme. Se torna alla Roma sono felicissimo perché lui ragiona ancora da giocatore: è come se non avesse mai smesso di giocare nel suo cervello. È uno che in qualunque ruolo può fare bene; sia come dirigente che come allenatore anche se non credo che lui voglia farlo. In qualunque veste Francesco aiuta molto: il capiteno è il capiteno”.

Chi è l’Aristoteles della Roma?

“Sicuramente Tammy Abraham. Corre e segna tanto. È molto elegante e credo sia lui il nostro Aristoteles, colui che possa risolvere un po’ i nostri problemi in attesa che rientrino dai box alcuni giocatori come Spinazzola per il quale io stravedo”.

Zaniolo invece?

“Sta giocando bene ma deve tenere a freno questo suo caratterino piccantino. Certe volte esagera e può rovinare tutto con un espulsione. Già abbiamo troppe defaillance, ci mancano solo i cartellini e le espulsioni”.

Ci avviciniamo al derby.

“Quella di domenica sarà una bella guerra ma per fortuna non ci saranno ne morti ne feriti ma solo persone incazzete e altre meno incazzete. Mourinho non lo conosco di persona ma tutti lo chiamano Mou e in dialetto pugliese (mò ndr) significa adesso. Dunque se questo nome ha il significato che gli attribuiamo noi pugliesi, Mou dobbiamo vincere. Noi siamo pronti e dico che finirà 2-1 per la Roma”.

Oronzo Canà con che modulo giocherebbe il derby della Capitale?

“Andrei con la B-zona e il Nodo al Pettine, un nuovo metodo che sto mettendo a punto in questi giorni. Il nodo al pettine è semplice da capire ma difficile da applicare: bisogna riuscire a fare dei tiri che nessuno si aspetta; al nodo di pettine come faceva Francesco Totti. Il capiteno che con la punta del piede fa saltare sopra la chepa del portiere il pallone mandandolo in rete. Il metodo che utilizzerei contro la Lazio è dunque a nodo di pettine”.

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