Leardi: “Altre tifoserie non hanno capito il mio impegno. Dobbiamo tutti insieme lavorare per impedire che ci possano essere altri giovani uccisi come il mio Ciro. Per De Santis provo pietà”

Conferenza stampa di presentazione del libro "Ciro vive" di Antonella Leardi

Il Mattino (G.Di Fiore) – Stamattina incontrerà a Napoli i ragazzi dell’Istituto alberghiero «Duca di Buonvicino», in una delle sue testimonianze contro la violenza. Antonella Leardi ha pianto, dopo la requisitoria dei pm romani. Lacrime di dolore per Ciro che da due anni non c’è più.

Antonella, cosa prova dopo la richiesta di ergastolo per l’assassino di suo figlio?
«Credo sia una richiesta giusta, ma non posso certo dire che provo soddisfazione. Avrei preferito avere qui mio figlio, che dover commentare il processo sul suo assassino».

Che valore avrebbe una pena così pesante?
«Sarebbe un monito per chi pensa che si possa andare a vedere le partite armati, o chi crede che voler bene alla propria squadra si esprima con la violenza».

Come ha vissuto questi due anni?
«Nella continua ricerca di verità, in nome di mio figlio. Un impegno costante, per tenere vivo il ricordo e fare qualcosa per il mio quartiere Scampia e per i tanti giovani della mia città che vivono in zone difficili di Napoli».

Il suo impegno è stato frainteso?
«Da qualcuno, soprattutto in altre città, e questo mi ha ferita molto. La tifoseria napoletana mi è stata sempre vicina, ha compreso con rispetto. Altri, invece, no».

Si riferisce agli striscioni all’Olimpico dello scorso anno?
«Sì, ma ci sono sempre persone stupide ovunque. Ho ricevuto tanti insulti anche sul mio profilo Facebook. Gente che, accecata dalla violenza, non capisce che dobbiamo tutti insieme lavorare per impedire che ci possano essere altri giovani uccisi come il mio Ciro».

Pensa spesso a suo figlio?
«Dopo due anni, è sempre dura. Non è stato semplice, durante il processo, sentire parlare di cadavere sapendo che si trattava di mio figlio. Sento ancora l’odore del suo profumo. Rivedo il suo sorriso e la gioia con cui mi salutò quella mattina, per andare alla partita con la Fiorentina. Non mi sembra ancora vero che sia morto».

Cosa prova per Daniele De Santis, dopo l’udienza di martedì e le sue urla in aula?
«Solo una grande pietà. Spero che un giorno possa trovare in Dio la sua possibilità di salvare la sua anima dalla morte eterna».

La impegna molto l’associazione «Ciro vive»?
«Sì, è lo strumento per attuare il nostro discorso contro la violenza. Non è una fondazione, andiamo avanti con il sostegno di volontari. Siamo orgogliosi di poter parlare nelle scuole, negli ospedali, nelle scuole calcio. Vogliamo portare un messaggio di amore evangelico, parlare con l’esempio di una storia triste che non dovrà mai essere vissuta anche da altri».

Il Calcio Napoli vi è stato vicino?
«Sì, ci sostengono e ci hanno aiutato a fornire le attrezzature alla squadra di calcio a cinque creata a Scampia da mio figlio Pasquale, denominata “Ciro vive”. Vogliamo sia un altro riferimento nel quartiere, per dare alternative ai ragazzi».

Le istituzioni vi sostengono?
 «Abbiamo avuto una sede alla circoscrizione Scampia, assegnata all’associazione. Era un locale in pessime condizioni, ristrutturato dal Comune che ce lo ha concesso».

Crede che i suoi atteggiamenti abbiano spiazzato gli amanti dei luoghi comuni su Napoli?
«Forse, ma a Napoli ci sono tante persone contrarie agli eccessi, che si pongono in maniera costruttiva rispetto ai drammi vissuti. Non tutti siamo uguali, ma la maggioranza è fatta di persone come me. Eppure, c’è chi preferisce bollarci con luoghi comuni da folklore».

Qual è il futuro dell’associazione «Ciro vive»?
«Vorremmo fare rete a Scampia, come in tanti quartieri disagiati. Diventare realtà di aggregazione in concreto. Abbiamo donato sangue per i bambini malati di leucemia negli ospedali e continueremo a portare la nostra testimonianza di amore e pace ovunque ci invitino, con disponibilità. E l’unico modo per condividere quello che scrivevano i tifosi nel murales che apparve quasi subito a Scampia».

Cosa diceva?
«Scampia non vuole vendetta, solo giustizia».

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