Iturbe e Iago Falque ali che non si aprono e la Roma resta a terra

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La Gazzetta dello Sport (A.Frosio) – La Roma monodimensionale e statica prosegue il suo viaggio in Champions League, però non dissipa i dubbi già evidenziati nelle ultime settimane in campionato. I difetti sono sempre gli stessi: Garcia dipende troppo dalle prestazioni individuali, soprattutto dei suoi attaccanti. Il gioco della Roma è evidentemente disegnato per sfruttare l’uno contro uno sulle fasce. Progetto perfetto quando sulle bande sgommano Gervinho e Salah al massimo della forma (gli strappi dell’ivoriano furono il tratto distintivo del primissimo e felice periodo di Garcia sulla panchina giallorossa), non quando i sostituti fanno scena muta o quasi. Sugli esterni la Roma si presenta, quasi obbligatoriamente, con Iago Falque a destra e Iturbe a sinistra, in un sistema che diventa spesso un 4-1-4-1 perché Nainggolan e Pjanic avanzano all’altezza delle due ali con Dzeko riferimento centrale. Il problema è che quando il pallone arriva sulle fasce non si creano sbocchi.

ALI BLOCCATE – Iturbe è il meno positivo. Nel primo tempo, escluso il portiere, è il giallorosso che corre meno dopo Manolas, e quando esce dopo un’ora di gioco il bilancio è pesantemente in rosso. L’argentino chiude con 26 palloni toccati, trasformati in appena 7 passaggi positivi (3 negativi), 2 dribbling non riusciti su 2 tentati, ben 10 palloni persi. A inizio ripresa, Iturbe si sposta a destra – senza migliorare – mentre Iago Falque va a sinistra, dove dovrebbe trovarsi più a suo agio. Ma anche il contributo dell’ex Genoa è minimo: appena 2 cross, un dribbling negativo (l’unico tentato), anche per lui 10 palloni persi. Meglio, insomma, quando entra Mohamed Salah, che non sta benissimo e si vede, ma qualche strappo cerca di procurarlo: 3 occasioni create (come Iago con un’ora in meno in campo), un dribbling positivo e uno negativo.

CORSA E SMARCAMENTO – Sulle fasce arriva anche la spinta dei terzini, perché in mezzo Edin Dzeko aspetta come il pane i cross dagli esterni. Ma anche in questo caso i numeri latitano: 11 i palloni messi in mezzo all’area dalla Roma, soltanto due quelli arrivati a destinazione. Le continue proiezioni offensive degli esterni bassi, tra l’altro, scoprono pericolosamente la difesa giallorossa, soprattutto quando nel finale la Roma sembra sulle ginocchia (alla fine il Bate Borisov avrà corso oltre due chilometri in più: 113,375 km contro 111,275). De Rossi in particolare non riesce più a operare da «libero» stringendo la posizione tra i due centrali difensivi per chiudere le falle che si aprono. È in questo momento che i giallorossi concedono occasioni al Bate, che non deve nemmeno soffrire troppo per contenere l’avversario. Un altro difetto giallorosso è infatti non tanto il poco movimento senza palla – i terzini spingono, Nainggolan e Pjanic spingono e retrocedono, il bosniaco è addirittura il giocatore che corre di più tra i romanisti, con 12,044 chilometri mentre il belga è quello che recupera più palloni (10) – quanto l’incapacità di servire il pallone nello spazio e la capacità di smarcamento: i passaggi arrivano sempre e solo tra i piedi. Succede praticamente solo un paio di volte, su idee di Pjanic, una per Iago (cross che non arriva a destinazione) e una per Dzeko messo davanti alla porta e fermato da Chernik. Non abbastanza per essere soddisfatti.

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