La Stampa – Il rimpianto di Capello: “Volevo Messi per la Juve”

Impianti superati, crisi finanziaria, calcioscommesse. Da Lugano, Fabio Capello miscela i fattori e tira le somme: «Per questo la serie A non può accaparrarsi uno come Messi o come Maradona». Forse è anche per questo che l’ex ct dell’Inghilterra chiude le porte al nostro campionato: «Escludo al 100% la possibilità di un mio ritorno». Sciorina certezze, Don Fabio. Anche quando il calcio rischia di sconfinare nell’astratto. Come quando si parla di Messi e Maradona. «Due geni del calcio, prima di tutto».
Requisiti del genio?
«Compiere gesti che altri non immaginano neanche».
A chi la corona di Capello?
«Maradona sul campo era più leader di Messi. Anche se Lionel ha qualcosa in più nella velocità, nel dribbling stretto e nell’imprevedibilità di fronte alla porta. Poi nei suoi confronti c’è anche un accanimento diverso nelle marcature. Ma non fatemi dire chi è il più forte, anche perché stiamo parlando di calciatori di epoche diverse. Stravedo per entrambi, come per lo spettacolo e per i fuoriclasse in generale».
Nel confronto fra i due numeri dieci, quanto pesa il percorso con la Nazionale argentina?
«Maradona ha fatto benissimo con il Barcellona, ha reso grandi il Napoli e la sua Nazionale. Messi ha tutto il tempo per pareggiare i conti. Il giudizio pertanto resta in sospeso».
Ha il rimpianto di non averli allenati?
«In tema di campioni a disposizione non posso certo lamentarmi. Un rammarico però lo conservo: affrontai il Barcellona in amichevole con la Juve, Messi aveva poco più di 16 anni e gli spagnoli erano alle prese con problemi di tesseramento. Chiesi a Rijkaard di darmelo in prestito per un anno, previa promessa di farlo crescere bene. Risposta negativa, davvero un peccato».
Messi è un campione globale, mette d’accordo tutti. Maradona spaccava il giudizio, creava i partiti. Perché?
«Perché Lionel è “soltanto” un grandissimo giocatore. Mentre Diego era anche un grandissimo personaggio. Maradona era un’ideologia, per questo divideva la critica».
Stadi di proprietà, budget contenuti, brand Italia indebolito e scandali in corso: quanto basta per non vedere mai Messi in serie A?
«Partiamo dai budget. Di fronte a quelli di Barça e Real Madrid i nostri club non sono più competitivi. Idem per quanto riguarda l’Inghilterra, dove ci sono anche dei magnati in grado di spezzare gli equilibri. Va anche detto che nella Liga e in Premier si registrano esposizioni finanziarie non da poco. A monte c’è il resto: stiamo perdendo il treno per colpa dei Mondiali di Italia ‘90, dove spendemmo cifre iperboliche per stadi vecchi. Insomma, impianti obsoleti, tifo violento e alcune componenti delle società che si sono rese protagoniste di brutte cose. Ecco perché non vedremo né Messi né Cristiano Ronaldo in serie A».
Dall’equazione ne esce un campionato italiano mediocre?
«Su questo non sono d’accordo. In Italia si gioca un buon calcio, gli arbitri finalmente fanno proseguire l’azione e non premiano i tuffatori. Poi ci sono i meriti delle società, che sono riuscite a compensare il gap economico individuando giocatori come Cavani, Lavezzi, Jovetic, Hernanes, Pjanic e Lamela».
A proposito di campioni. Come convive con l’etichetta di allena-fenomeni?
«Questa è una scusa buona per qualcuno. Ho allenato grandi squadre, è vero, ma sono anche tra i tecnici che hanno lanciato più giovani. Qualche nome? Aquilani, De Rossi, Casillas. Sei anni di settore giovanile non si dimenticano…».
Non ha ancora detto chi vincerà lo scudetto.
«Sarà testa a testa tra Juve e Milan fino alla fine. Con le fatiche di Champions che potrebbero anche pesare».
Già, la Champions. Tra la coppa e Ibra c’è giusto un Messi di mezzo?
«Sarà fondamentale il prossimo turno. In ogni caso vedo le due spagnole ancora avanti».
Fabio Capello ormai si considera esclusivamente un ct?
«Le Nazionali sono gratificanti, ma non mi precludo la possibilità di tornare ad allenare un club. Anche se per ora preferisco godermi le vacanze».
Quando parla di club, lascia aperta la porta anche ad una società italiana?
«Questo posso escluderlo al 100%».
Vale la versione ufficiale, un po’ come i motivi della rottura con l’Inghilterra?
«In entrambi i casi ho detto la verità».
La Stampa – Simone Di Segni

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