Ingaggi di A: un macigno

Corriere dello Sport (M.Vulpis) – Il contagio del Coronavirus sta rallentando, ma ancora non si ferma come avevano previsto inizialmente gli scenziati. Da qui la decisione di tagliare gli stipendi dei giocatori. La Serie A paga gli errori epocali di una classe dirigente che ha sempre preferito spendere allegramente piuttosto che reinvestire o risparmiare in vista di tempi difficili. Il costo del lavoro, nel lasso di tempo che va dal 13-14 al 17-18, non è mai sceso sotto la soglia del 49%, raggiungendo il picco massimo nel 15-16 col 53%. Più di metà dei ricavi vengono assorbiti da questo indicatore. Attualmente il rapporto “costo del lavoro per tesserato/ricavi club” è ormai vicino al 55%, una cifra troppo elevata per una Serie A che supera di poco i 3 miliardi di giro d’affari. Prima del taglio la Juventus avrebbe pagato 274 milioni di euro, la Roma 180, l’Inter 132 e così via. La decisione della Lega, contestata da Damiano Tommasi, è il risultato di un’errata visione globale da parte della stragrande maggioranza dei presidenti. Le società si sono appiattite sui diritti tv. Pesano mediamente per il 40%, mentre i ricavi da stadio non superano il 10%.

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti