Il Tempo – Rispondere? Inutile con chi ignora la storia

Penso che noi laziali dovremmo essere grati a Francesco Totti per la verve con la quale, ieri, ha voluto scandire il conto alla rovescia verso il derby come si faceva ai vecchi tempi: a suon di sfottò e battutine. Un’apertura ufficiale delle ostilità prima di avventurarsi nelle quali il simpatico Francesco, ne sono sicuro, aveva certamente messo in conto che a noi sarebbe spettato il diritto di replica. Per cui, invece di prendere d’aceto o addirittura di infuriarci, come purtroppo ieri è capitato a troppi di noi, i laziali doc dovrebbero sfruttare l’assist, smarcante come quelli di cui «il capitano» è grande specialista in campo, e massacrarlo di repliche brucianti quanto le sue battutacce. Con Totti non si rischiano certo le botte (quelle le riserva a chi lo sfotte in campo, come Balotelli) perché lui è un uomo di spirito. Ce lo dimostra non tanto tutti i giorni dai teleschermi (si sa che le irresistibili battute che pronuncia negli spot Vodafone non sono farina del suo sacco) quanto nella vita quotidiana. Ce lo fanno capire il modo in cui si veste, i suoi gusti in fatto di nomi, l’infinito flusso di barzellette cui ha dato vita e poi, addirittura, dignità letteraria. Solo uno dotato di grande spirito può battere i rigori a cucchiaio e vantarsene, o mandare, diciamo così, a quel paese per tre volte un arbitro ricevendone in cambio un abbraccio anziché un cartellino rosso. Solo un autentico burlone può osare paragoni come quello fra le proprie imprese pallonare e quelle di un gladiatore.
E solo un maestro dell’ironia romanesca può partorire un’esilarante similitudine come quella fra l’aquila della Lazio e un gabbiano, immagine tanto corrosiva da lasciare stupefatti per la genialità che ne traspira. Amici laziali, è senza senso e senza fondamento, credetemi, accusare il prode capitano giallorosso di essere un ignorante che non conosce la storia. È vero, può capitare che Totti non sia troppo a suo agio con l’italiano, ma la storia di Roma la conosce benissimo. Lo sa, lo sa che l’aquila – a differenza della lupa – era il simbolo dell’Impero romano in tutto il mondo allora conosciuto. È che, essendo spiritoso, ha fatto finta di non saperlo per nascondere l’onta di una lingua che batteva dove il dente doleva. Su una cosa, comunque, devo in piena serietà ammettere di essere purtroppo d’accordo con lui: sul fatto che il portafortuna della Roma nel derby sarà Reja, quattro sconfitte su quattro partite. Su chi porta fortuna o sfortuna nelle stracittadine Totti è d’altronde un pozzo di scienza, la massima autorità mondiale, visto che, da giocatore giallorosso che ne ha perse più di chiunque altro (12), sa bene che invece, assente lui, la Roma non ha mai perso (5 vittorie e 4 pareggi). E se fosse per questa consapevolezza, e non per infortunio, che, da uomo di spirito, il derby di domenica ha preferito giocarselo a chiacchiere, da solo, anziché sul campo, fra gli avversari?
Il Tempo – Giancarlo Baccini

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