I due volti di Gerson

Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Da qualche parte, in qualche tempo doveva pure essere andato disperso Gerson Santos da Silva. Oppure non era mai esistito. Il che a vent’anni è arduo da sostenere e da sopportare. C’è un complesso di cose che ostacolano la carriera del brasiliano. La prima, e meno importante, è l’aver ricevuto il nome di un paio di piedi pensanti, quelli che pilotavano il talento sparso di Pelé, Rivelino, Jairzinho e soci nel Brasile del 1970. Ma bastasse questo a condannare. E’ che Gerson oltre al nome si è portato dietro la fama, non quella universale da boy star che prima trascila Roma. Più probabilmente, l’allenatore di oggi ha visto anche di più. Sabatini usualmente s’incapricciava della fantasia del trequartista con ampia licenza di attaccare. Di Francesco quando butta dentro Gerson lo fa con l’idea di chiedergli quello e altro. Tenere la palla avanti se è plausibile. Allontanarla dall’area della Roma quando serve. Già Luciano Spalletti, peraltro, aveva sperimentato tale trovata. Con risultati decisamente non adeguati. E nel momento peggiore, da farla sembrare una provocazione. Contro la Juventus, che ovviamente vinse.

UMILTÀ – Di Francesco ha fatto come fa sempre. Ha osservato il giocatore. Ci ha parlato e straparlato. Ha spiegato e si è fatto spiegare. E forse ha cominciato a recuperare qualcosa a cui la Roma aveva rinunciato. Di suo, Gerson ci ha messo un’umiltà di cui era lecito non sospettare dopo il rifiuto del prestito al Frosinone e della cessione preziosa a Lilla quando era già in zona visite mediche. Anzi, pare che gli piaccia andare dal posto di attaccante a quello di terzino. Lo ha detto: «Adesso posso essere esterno d’attacco, come ero abituato a fare in Brasile». Solo che esterno d’attacco significa due cose molto diverse in Brasile e a DiFralandia. Eppure Gerson è stato inserito con profitto contro il Bologna, sull’1-0, e contro il Chelsea, a punteggio più tranquillo. Sempre al posto di El Shaarawy. A Londra aveva addirittura giocato dal’inizio, per 73 minuti. Sempre lì a fare avanti e indietro, senza lamentarsi, tenendo palla, inseguendo con aria minacciosa chi gliel’aveva tolta, se del caso. Consideriamolo un altro acquisto, di quelli che Di Francesco crea e conserva.

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