Gioco, cuore e Dzeko…ma quanti errori. Il Barcellona ne fa 4 alla Roma, l’orgoglio non basta

La Gazzetta dello Sport (S.Vernazza) – Tre a zero il Real alla Juve, quattro a uno il Barcellona alla Roma. Se serviva un’ulteriore prova, eccola: oggi per noi la Spagna è un pianeta inavvicinabile. Nella Champions in corso, finora si sono giocate sei partite tra club italiani e spagnoli. Quattro volte hanno vinto loro, poi due pareggi per 0-0, ma a mortificare è il dato dei gol, 12 a 1. Uno soltanto, la rete di Dzeko qui al Camp Nou. Un gol in 540 minuti, pazzesco. Al conto va aggiunta la batosta del Bernabeu nelle qualificazioni mondiali. Non c’è pista, troppo forti gli spagnoli perché diversi per cifra tecnica e mentalità, per chiarezza tattica, il gioco palla a terra prima di tutto, e per spensieratezza. Il risultato di ieri è duro da accettare, ci sono cose che non tornano: un rigore evidente non concesso alla Roma sullo 0-0 e un altro sospetto sull’1-0; il rammarico per l’insolito caso dei due autogol; il rimpianto per certe ripartenze che dovevano essere chiuse con cattiveria e non finir preda di timidezze e riverenze. Resta però l’impressione di aver incassato quattro gol da un Barcellona che non ha giocato la miglior partita della stagione e che faceva e disfaceva l’incontro secondo gli umori di Messi e Iniesta, ieri tendenti al variabile. Non raccontiamoci favole sulla «rovesciabilità» del 4-1 all’Olimpico. Nel ritorno, al Barcellona basterà alzare un sopracciglio, per riprendersi con gli interessi ogni eventuale e momentanea cessione di sovranità.

ILLUSIONE – Roma senza Nainggolan e con corsia destra a doppia difesa, Bruno Peres terzino e Florenzi esterno alto. Sistema 4-3-3 pro forma, di fatto la squadra si auto-modellava in un 4-1-4-1 con De Rossi libero aggiunto davanti a Manolas e Fazio. Col senno del fischio d’inizio il duplex Peres-Florenzi sembrava una dichiarazione di impotenza; col senno del primo tempo pareva una scelta saggia; col senno di poi va bene così, chissà quanti gol blaugrana sarebbero piovuti con El Shaarawy titolare. La blindatura «difranceschiana» prevedeva due tipologie di gabbie. Una per Iniesta, raddoppiato, anzi triplicato da Peres, Florenzi e Strootman. Un’altra più mobile su Messi svariante tra fascia destra e centro. Messi aveva una gran voglia di rispondere con un gol da fenomeno alla rovesciata epocale di Ronaldo e perseguiva l’azione personale, il dribbling insistito, ma al terzo-quarto tentativo spuntava il terzo-quarto romanista a rompergli le uova. Di Francesco l’aveva studiata discretamente bene. La Roma ha pagato la codardia dell’arbitro, che sullo 0-0 ha negato ai giallorossi un rigore per netto fallo di Semedo su Dzeko. E verso la fine della prima frazione si è fatta male da sé con un’autorete figlia del terrore che incutono quei due, Iniesta e Messi, quando fanno sistema. Non è casuale che nell’attuale Champions il Barcellona abbia beneficiato di 5 autogol, si chiama induzione all’errore. Pellegrini ha sbagliato un passaggio in uscita, Rakitic ha attivato il tandem delle meraviglie e De Rossi, vistosi perduto, ha anticipato Messi con una scivolata difensiva mutata in tiro nell’angolino. La Roma è andata all’intervallo in svantaggio, ma con l’illusione ottica della giocabilità del match.

RISVEGLIO – La presunzione di parità si è protratta per qualche minuto, giusto il tempo che ci è voluto per mettere Perotti nelle condizioni di sprecare l’1-1, con un colpo di testa strozzato, palla a latere da ottima posizione. Poi la Roma ha ceduto un’altra volta alla sindrome di Stoccolma, all’intelligenza col nemico. Secondo autogol, questa volta di Manolas sotto pressione di Umtiti, suo omologo di difesa: almeno ci fosse stato Suarez o Messi, alle spalle del greco. Lo sconforto ha aperto le acque e per cinque minuti è venuto giù tutto, compreso il tris di Piqué su respinta corta di Alisson. Singolare che due delle quattro reti del Barça siano figlie dei difensori centrali, ci sembra un indizio tattico rilevante. La Spagna si difende attaccando, ma un conto è dirlo e un altro è farlo, dietro tale atteggiamento c’è il lavoro di anni, ci sono generazioni formate in un certo modo. Sul 3-1 la Roma ha sussultato per la classica reazione di orgoglio ed è arrivato il gol di Dzeko, ma Suarez ha richiuso lo spiraglio. Sbam, porta in faccia. E tra sette-otto giorni, a eliminazioni certificate, ripartiremo con le belle parole e i buoni propositi, fino al prossimo giro di Spagna. Loro giocano, noi ci arrangiamo. Questi siamo.

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