La Gazzetta dello Sport – Gerrard ci ricorda Totti e Del Piero

Steven Gerrard

 

La scorsa estate chiesero a Steven Gerrard se la scivolata contro il Chelsea tornasse ogni notte a turbarne il sonno. «Me la sono scrollata di dosso molto in fretta – rispose il numero 8 del Liverpool – perché un capitano non può permettersi di farsi vedere avvilito dai suoi compagni. Nello spogliatoio mi guardano. E io devo far loro coraggio, mica avvilirli con le mie miserie personali». Non c’è giocatore che nel calcio moderno abbia interpretato il ruolo di capitano in un modo più nobile di Stevie G., come lo chiamavano da ragazzino a far intendere – con la confidenza – il giovane cresciuto in casa. Nel 2003, quand’era già un giocatore importante, il tecnico Houllier decise di trasferire la fascia dal braccio del difensore Sami Hyypia al suo, e Gerrard ci stette male per un giorno e una notte («ci tenevo tantissimo, ma ero devastato all’idea di sottrarla a quello che era comunque il mio capitano»), finché lo stesso Hyypia lo affrontò dicendogli «ehi Stevie, è sempre stata solo una questione di tempo, perché sei tu a significare qualcosa per questa città, non io».

 

Un bel sollievo per uno che ha confessato di fermarsi ancora ogni tanto con la macchina in un certo punto del tragitto di rientro dal centro di allenamento di Melwood a casa sua e, guardando la città sotto di lui, ripetersi «io sono il capitano del Liverpool». C’entra la storia personale, naturalmente, dal cugino di dieci anni vittima più giovane della tragedia di Hillsborough («io gioco per Jon-Paul» è la frase che apre la sua autobiografia) ai lunghi pomeriggi passati col padre nella Kop, la curva più bella del mondo – e oltre tutto non è nemmeno una curva – perché non c’è mistica superiore alla maglia red, per chi vede il calcio in una certa maniera.

Qualche anno fa ci è capitato di assistere a una delle sfide mitiche del football, Liverpool-Manchester United, e nel box d’onore di Anfield, approfittando di una squalifica col suo club di allora (il Bayer Leverkusen), chi era accorso a fare un tifo scatenato per Gerrard e i suoi? Sami Hyypia. Once a red, always a red.
Facile e obbligato l’accostamento a Francesco Totti, l’unico altro capitano del calcio contemporaneo ad aver lucidamente rinunciato a una carriera molto più vincente pur di rimanere nel club per cui tifava da bambino. Da ieri, dopo aver letto il comunicato nel quale spiega la sua scelta, vediamo una somiglianza anche con Alessandro Del Piero, che dopo una vita alla Juventus ha accettato solo squadre lontane e improbabili pur di non correre il rischio di doversi battere contro le «sue» maglie bianconere. Tutto ciò, molto semplicemente, vuol dire essere un capitano.

La Gazzetta dello Sport – P. Condò

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