Da zona Cesarini a zona Colosseo: l’attitudine nichilista del 95′

Zona Cesarini o Zona Colosseo? Il finale delle romane è “hot”. Scotta come il pallone tra i piedi. Roma e Lazio si tengono alla larga dall’happy end. Brutta abitudine. E l’Europa non le aspetterà. Gli altri continuano a pedalare e loro crollano. Perché? C’è un imprevedibile e invisibile dettaglio di sistema: l’insicurezza dei collettivi cui manca un vero leader in campo. Per quei pochi minuti cruciali, Celtic e Borussia sono apparse, emotivamente, di un altro pianeta. Cosa che non è. Ma può diventare se uno si impegna. Questa presunzione di decidere arbitrariamente quando la partita deve finire, in Europa non te la perdonano. E nemmeno Italia, se è vero che anche la Spal ha colpito Inzaghi in quei minuti. Perdi concentrazione anche per un solo minuto, magari l’ultimo, e lì si spalanca l’abisso. Prendere lezione dal City che difende in 10 e con un giocato re di movimento in porta il pareggio con l’Atalanta. Non aprirsi, non accanirsi, non cercar vana gloria. Un pareggio è sempre meglio di una sconfitta. Giovedì sera Roma e Lazio hanno servito alle avversarie la loro debolezza meno quantificabile: il carattere. Tutto diventa più rigido. Dai muscoli dei giocatori al viso dei tifosi. All’Olimpico Berisha ha commesso un errore inspiegabile in uscita e senza pressioni. In Germania Fazio e Smalling hanno lasciato a Thuram spazio e tempo sufficienti per bersi un aperitivo prima di colpire di testa. Solo episodi di negligenza difensiva? Potrebbe sembrare. Ma in realtà il guasto parte da molto più lontano e coinvolge le squadre nella loro globalità. Le italiane vorrebbero arrivare in finale senza faticare né soffrire. E senza doversi preoccupare dei Cluj o del Basaksehir. Ma purtroppo non funziona così. Lo riporta La Repubblica.

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