Corriere della Sera (G. Piacentini) – I suoi detrattori dicono che il fatto che sia il regista della Nazionale è lo specchio della crisi che sta vivendo il calcio in Italia. I suoi estimatori, al contrario, sostengono che la sua presenza da titolare in ogni formazione e con ogni allenatore siano il premio all’abnegazione, alla serietà e all’impegno di Bryan Cristante.

Di sicuro il centrocampista della Roma è il pupillo di tutti gli allenatori che incrocia. In questo senso, il neo c.t. Luciano Spalletti, che gli ha affidato il comando della sua prima Nazionale(e probabilmente anche della seconda che giocherà stasera contro l’Ucraina), deve mettersi in fila.

Prima di lui, nella Capitale, lo hanno ritenuto indispensabile Di Francesco e poi RanieriFonseca, che lo ha trasformato anche in difensore centrale. Infine Mourinho, che pur di non rinunciarci ha ridisegnato il centrocampo giallorosso. Lo ha fatto lo scorso anno, quando dopo un avvio in cui lo stesso tecnico portoghese aveva dichiarato che non potevano coesistere, ha trovato il modo di farlo giocare insieme a Matic.

Lo sta facendo di nuovo in questa stagione, in cui sta provando (finora senza riuscirci) a farlo coesistere con Paredes. E anche se l’argentino è forse il regista che ha chiesto fin dal suo primo giorno in giallorosso – in principio fu lo svizzero Xhaka – Mou non vuole rinunciare al suo capitano aggiunto. Per questo all’esordio contro la Salernitana all’Olimpico, dopo l’ingresso in campo di Paredes al posto di Smalling, ha spostato Cristante in difesa.

Contro il Verona e contro il Milan, invece, lo ha lasciato a centrocampo, non da play ma da mezzala. Uno spostamento che non è passato inosservato, anche se a chi gli ha chiesto in quale posizione preferisse giocare ha risposto, un po’ stizzito: “Mi fate sempre la stessa domanda? In questi anni ho giocato più partite davanti alla difesa, quindi certi meccanismi mi vengono più in automatico e c’è più rapidità di pensiero. Ma se c’è bisogno di fare la mezzala, la faccio al massimo”.

Musica per le orecchie di qualsiasi allenatore, figuriamoci per due come Mourinho e  Spalletti che amano i calciatori che mettono gli interessi della squadra davanti a quelli personali. Con la maturità (a marzo dell’anno prossimo compirà 29 anni) è cresciuto anche come leader all’interno dello spogliatoio: dopo la sconfitta col Milan, quando Mou ha deciso di rimanere in silenzio, è toccato a lui andare davanti alle telecamere a «spiegare». Lo stesso aveva fatto dopo la sconfitta contro il Siviglia e sabato scorso dopo la mancata vittoria della Nazionale.

Evidentemente non sbagliava Daniele De Rossi, che nel giorno del suo addio alla Roma disse: “Ne voglio altri cento di giocatori come lui, perché anche se non è nato a Roma ci mette l’anima, da romanista”. Lo ha capito anche la società, che recentemente gli ha rinnovato il contratto fino al 2027: avrà 32 anni, di cui 9 vissuti in giallorosso. Un traguardo per pochi.