Corriere dello Sport (R. Maida) – In una decina di mesi ha schivato schegge, ammiccato alla diplomazia, sfruttato il fioretto. Affidandosi essenzialmente a due certezze: il fiuto dell’esperienza, che le ha permesso di farsi largo in un mondo maschilista, e l’Apple Watch rosa, che indossa su un polso e la tiene aggiornata su qualunque movimento si avverta dentro alla Roma. Tra balletti e terremoti, Lina Soulokou è diventata la dirigente alla quale la famiglia Friedkin ha affidato la complicata transizione. Che ha seguito la linea-guida del ridimensionamento dei costi, anche del personale meno conosciuto, e dello snellimento di strutture e metodi. Piaccia o meno, così è.

Gli è servito del tempo, perché quando è stata chiamata su consiglio di Nasser Al-Khelaifi del Psg non conosceva neppure l’italiano. Ma ha imparato in fretta e adesso si rivolge a tutti usando la nostra lingua. Piano piano, forte della fiducia della proprietà che non aveva ancora trovato il Ceo che davvero la rappresentasse, ha saputo emergere come punto di riferimento per tutti. Ieri De Rossi ha parlato di lei, “Lina”, e di “Maurizio” cioè il segretario sportivo Lombardo, come figure solide alle quali rivolgersi per qualunque necessita. Del resto dopo le dimissioni di Tiago Pinto, insofferente alla coabitazione con una manager di grado superiore che non era riuscito ad escludere dalle decisioni strategiche del club, sono proprio “Lina e Maurizio” a occuparsi di questo semestre bianco romanista.

Se poi sarà lei a ispirare la scelta del nuovo diretto re sportivo – oggi la Roma gioca a Monza, dove lavora il suo pupillo Modesto – non è un dettaglio. Perché a cascata discendono le decisioni sull’allenatore, per non parlare del mercato. in giurisprudenza e specializzata in diritto dello sport, sta dettando legge a Trigoria. E non solo: due giorni fa ha espresso durante un forum una posizione piuttosto netta sul futuro aziendale, assicurando che i Friedkin non intendano vendere la Roma e che anzi si stiano impegnando a renderla più ricca e competitiva. Il suo ruolo, già cruciale nell’agganciare il munifico sponsor saudita da 25 milioni in due anni, potrebbe addirittura assumere nuovi contorni se si sbloccasse in fretta la pratica dello stadio di proprietà. A quel punto i tifosi comincerebbero a volerle bene.