La Gazzetta dello Sport – Interpretazioni. Se il denaro nel calcio diventa sinonimo di forza potenziale, la sensazione forte è che la famiglia Friedkin col passare del tempo abbia sempre più voglia di battere i pugni sul tavolo. A dimostrarlo, c’è il denaro che spende per la Roma. E non ci riferiamo agli oltre 750 milioni che, in poco più di tre anni, ha investito per il club tra acquisizione e ricapitalizzazioni. C’è anche altro, ovvero la materia prima del calcio del Terzo Millennio insieme al costo dei cartellini: gli stipendi.

È scontato che non si possano paragonare epoche diverse, tanto più quando c’è stato un passaggio di moneta come quello verificatosi dalla lira all’euro. Nei suoi anni, il presidente Franco Sensi aveva fatto lievitare enormemente il monte ingaggi della Roma per arrivare a SamuelEmerson Batistuta, che furono fra i protagonisti del terzo scudetto giallorosso. Non basta. La cessione di Neymar al Psg nel 2017, così come il boom dei diritti televisivi della Premier, fino ad arrivare all’irruzione dei petrodollari nel football, hanno senz’altro fatto cambiare i parametri. Però i numeri raccontano come la proprietà ha appena cominciato una stagione in cui – se i premi a obiettivi saranno raggiunti – spingerebbe la voce degli emolumenti ai tesserati a raggiungere forse il secondo gradino del podio nella storia della società, visto che potrebbe arrivare intorno ai centosessanta milioni lordi.

Insomma, fa sorridere il fatto che i Friedkin siano accusati di non avere investito sul mercato, facendo riferimento al semplice costo dei cartellini. Le tagliole del “fair play finanziario” della Uefa erano stringenti (vedi esclusione dall’Europa di Azmoun Kristensen), così da spingere la proprietà ad agire sull’altra leva degli investimenti, cioè quella degli stipendi. Mossa corretta o rischiosa? Sarà il campo a deciderlo.

Una cosa è certa: in attesa dei dati ufficiali del 2022-23 e di quelli dell’annata appena cominciata, le proiezioni evidenziano come la media di ingaggi e premi pagati durante l’era DiBenedetto-Pallotta – quindi a partire dal 2011-12 – è stata di 124,5 milioni, mentre quella in corso oscilla intorno ai 154 milioni. Insomma, un salto in avanti non banale, effettuato per giunta in un periodo in cui i ricavi paiono restringersi. Infatti, prendendo in esame la stagione con il monte ingaggi più alto dell’era Usa – 2018-19: 165,8 milioni – si nota come i ricavi della Roma (compresa la gestione del parco calciatori) ammontassero a 320,4 milioni, mentre l’ultimo bilancio ufficiale dei Friedkin parla di 205,8 milioni. E in questa chiave lo sforzo dei Friedkin si nota ancora di più.

Ma sforzi significa anche ambizioni, che i proprietari non stanno lesinando, pur consci che – in attesa del nuovo stadio – occorre che i ricavi crescano. In questo senso, dopo il flop dell’accordo con Digitalbits, desta stupore come la Roma abbia cominciato l’annata senza un “main sponsor” sulla maglia. anche se si parla di trattative con American Airlines e Turkish Airlines, senza contare che il nuovo accordo con la Adidas sulla carta dovrebbe essere migliore rispetto a quello con la Nike. Morale: in ogni caso, tutto ciò è stato sufficiente per assicurarsi un allenatore come Mourinho e dei top player come Dybala Lukaku, il più pagato della rosa con 7 milioni all’anno (grazie anche al Decreto Crescita) più bonus complessivi da un milione in caso di successi su tutti i fronti. A determinare se la strategia sarà vincente, però, lo decideranno i successi. Quelli che nella prima era americana sono mancati.