Un tecnico e un club in piena crisi

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La Repubblica (M.Crosetti) – Nello strano mondo della Roma, stavolta tutto può finire prima ancora di cominciare. Non lo dice la classifica ma il campo. Lo dice una panchina che ormai sembra vuota. Lo hanno detto i sei schiaffi di Barcellona e lo ha detto pure l’Atalanta. Lo dice una proprietà che sta sempre a Boston, nientemeno. Invece Garcia dice che non mollerà, che bisogna restare umili, che oltre le nuvole c’è il blu: ma sembra più quello dei lividi che del cielo. La caduta giallorossa forse cominciò contro il Bayern, un lutto mai elaborato, o magari contro la Juve a Torino, un anno fa: troppe parole, prima e dopo, anche di Garcia e non poche superflue. Ma quel crollo ha poi preso forma nel mezzo campionato successivo, chiuso al secondo posto solo per assenza di rivali. Erano indizi forti di scollamento che la società ha ignorato. Mancava un centravanti: arrivato. Serviva un altro contropiedista: preso. Cure palliative. Con Salah e Gervinho fuori, con Totti a fine avventura per mille logiche ragioni, la Roma è una squadra smarrita, debolissima in difesa perché incapace di difendere collettivamente.

Le resta il miglior attacco della serie A, però è stata violata già 17 volte. Nelle ultime tre partite ha preso 10 gol. In questi casi ci si chiede se i giocatori abbiano già esonerato l’allenatore, a volte succede. Ora Garcia ha due gare per salvare il posto, sabato contro il Toro e poi la Champions contro il Bate Borisov, tutto in quattro giorni. Le alternative sono comunque ipotesi fragili, nessun grande allenatore salta sul treno della Roma a dicembre. Se poi arrivasse qualche segnale più chiaro dall’America, non sarebbe male: anche per i tifosi, molto critici se non assenti. C’è da capirli, un po’ per il gioco della Roma e un po’ per la fatica dell’Olimpico: più facile entrare alla Banca d’Italia.

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