Un mese senza di te – La lettera di Mario Stagliano

In questo tempo sospeso, sempre nell’attesa di qualcosa che può succedere ed invece non succede mai, quasi ci si trovasse nella fortezza Bastiani, mi è capitato spesso, all’ennesimo squillo del telefono, di pensare: “E’ lui”, nella folle illusione di sentire dall’altra parte un “Ciao piccolo”.

Perché, Massimo era così, iperprotettivo non solo nei confronti dei ragazzi della redazione, ma anche dei suoi coetanei come me o Piero o Zibì. Si divertiva a prenderci per i fondelli e non si adirava mai neanche quando gli insulti erano diretti a lui, purché arrivassero da uno di noi. Zibì gli diceva sempre che in Polacco il termine “Stupido” si traduceva “Massimo Ruggeri”; Piero ha fatto dei lacci delle sue scarpe un mantra; personalmente, nell’ultima (ultima, porchissima miseria) trasmissione l’ho invitato per due volte ad andare dove noi romani siamo soliti mandare chi ci fa adirare. La sua reazione è consistita nel telefonarmi insieme a chi non credeva fosse accaduto veramente, senza neanche l’ombra di un minimo rancore.

Ci eravamo sentiti al telefono sabato 14 marzo, al solito aveva chiamato lui. Mi voleva dire che la trasmissione radiofonica del giorno dopo non sarebbe andata in onda; ma era una scusa, perché voleva raccomandarmi di rimanere a casa, preoccupato per il mio cuore ballerino, e raccontarmi di Gianfranco che aveva sentito bene.

Poi, il lunedì quelle due stramaledette telefonate a distanza di pochi minuti: “Massimo sta male”, “Non ce l’ha fatta”. Ma cosa cazzo dici? Ce l’ho fatta io qualche anno fa, perché Massimo no? Perché doveva essere scritto così da qualche parte; o forse perché lui era un testone e non dava ascolto a nessuno; o perché non si era mai preso sul serio ed ha voluto scherzare anche con la morte, ineluttabile compagna della nostra vita.

Con oggi è già un mese, da quel giorno mi hanno stupito molte cose. I miei tanti amici che mi hanno telefonato per farmi le condoglianze, avendo capito quale famiglia avesse creato Massimo. Quelli con cui aveva discusso che sono più disperati degli altri, perché gli è mancato il tempo di chiarirsi. Il fatto che, all’improvviso, si parli di lui per non volersi rassegnare. Il desiderio di incontrarci, tutti noi, per scioglierci in un pianto collettivo, sapendo che ci guarderà con l’aria di chi dice “Ma che state a fa’?”.

Ciao Massimo, qualche anno fa dedicai un brevissimo ricordo alla tua mamma, oggi mi è incredibilmente difficile farlo con te e se qualcuno mi chiedesse di descriverti, potrei rispondergli solo con un articolo ed un aggettivo: “Un Grande!”.

Mario Stagliano

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