Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – La vita, in fondo, a volte è solo una questione di tempi. Romelu Lukaku, infatti, la ovazione più sentita non la prende al momento della presentazione, ma quando — al minuto 25 della ripresa — entra in campo al posto di El Shaarawy. È lui l’uomo della speranza, quello sulle cui spalle il popolo giallorosso vorrebbe appoggiarsi per costruire il miracolo. L’attaccante belga — un paio di chili sovrappeso rispetto al suo standard ottimale, ma subito in evidenza per buoni test fisici — avrebbe bisogno solo di un elmo per apparire il gladiatore che i romanisti vorrebbero che fosse.

Poiché spesso il destino gradisce le storie a lieto fine, quasi subito all’ex attaccante interista si presenta una palla sul destro al limite dell’area che nei giorni migliori avrebbe forse scaraventato in porta, pur non calciando con il suo piede preferito. Finisce alto, finisce con un boato che si spegne nel rimpianto. Ma i tifosi si danno di gomito: “È vivo, sta già bene”, sussurrano in tanti. Una cosa è certa: la voglia di combattere non gli manca, e a dimostrarlo c’è l’ammonizione che rimedia al quarantesimo per un intervento da dietro un Okafor degno di un difensore ruvido. Invece no, è solo voglia di impresa, voglia di un pareggio che a un certo punto è sembrato a portata di mano. I compagni, comunque, già lo benedicono.

Non è un caso che Cristante racconta l’impatto del belga in questo modo: “Lukaku è un attaccante riconosciuto a livello mondiale. Uno dei migliori in circolazione. Ha sempre fatto la differenza e la farà anche quest’anno. Ora però dobbiamo cominciare a vincere“. Proprio vero, anche perché Romelu stavolta non ha funzionato nella sua veste di talismano. In carriera infatti, ai suoi “vernissage” con le maglie di West Bronwich, Everton, Manchester United e Inter (in entrambe le occasioni) aveva sempre fatto gol. Stavolta, però, il suo derby virtuale contro il Milan finisce male, anche se non per colpa sua.